Socialismo e potere sessuale

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    Kim Il Sung conosceva il problema incel e lo considerava una piaga sociale peggiore dei matrimoni combinati fra bambini che esistevano in Corea ai tempi dell’occupazione giapponese. Non ci credi? Farei fatica anch’io a crederlo.

    Eppure è quanto emerge dal mio studio sulle politiche messe in campo dal grande leader per abolire il “mercato sessuale” capitalista e le insostenibili disuguaglianze che genera, escludendo sempre più ragazzi da una sfera importante della vita umana e riducendoli a persone di serie B.

    In Corea del nord nessuno resta solo contro la propria volontà, a parte i nemici del popolo ovviamente, e perfino i disabili hanno una vita sessuale appagante. Oltre 70 fonti primarie, per la prima volta accessibili al lettore italiano, documentano la superiorità, anche in questo campo, dello Stato socialista più longevo della storia. 🇰🇵

    So che scrivere di questo tema mi procurerà non pochi nemici e mi esporrà agli attacchi ad hominem di liberali e femministe, ma sarò lieto di arricchire la critica del capitalismo con un nuovo irrefutabile argomento: sotto il socialismo si scopa di più. Take the JuchePill: https://gigapill.red/socialismo-e-potere-sessuale/

    Allego anche il PDF, purtroppo senza immagini, per chi fa fatica a leggere in bianco su sfondo nero:
    File Allegato
    Socialismo_e_potere_sessuale.pdf
    (Number of downloads: 66)

     
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    Potete commentare questo post nella sezione Off Topic (dove è inserito un link che rimanda qui), aprendo una apposita discussione.
     
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    Aggiungo questa appendice, scritta sempre dall'amico Alaricus:

    Chi mi segue su Facebook e Telegram si sarà divertito a leggere la polemica con i membri del Collettivo LeGauche che, prima di farsi bloccare per oltraggio alla pubblica decenza e alla memoria del compagno Montanari, dal dicembre 2021 al gennaio 2022 hanno lanciato continui attacchi ai miei post sulla Corea del nord e sul problema incel. Le loro argomentazioni sono poi state riassunte in questo articolo: www.legauche.org/teoria/redwash ... n-diritto/

    Dopo aver menzionato alcune fonti scientifiche, il Collettivo LeGauche conclude: «Quindi la domanda finale è: di che bisogno necessario si sta parlando quando si parla di necessità del sesso? Risposta: nessun bisogno necessario, ergo fisiologico, ergo capace di porre a disagio l’organizzazione psico-fisica dell’individuo in maniera sistemica e generalizzata».

    Questo segno di uguaglianza posto fra “bisogni necessari” e “bisogni fisiologici” contraddice la teoria marxista: «I bisogni naturali, come nutrimento, vestiario, riscaldamento, alloggio ecc., sono differenti di volta in volta a seconda delle peculiarità climatiche e delle altre peculiarità naturali dei vari paesi. D’altra parte, il volume dei cosiddetti bisogni necessari, come pure il modo di soddisfarli, è anch’esso un prodotto della storia, dipende quindi in gran parte dal grado d’incivilimento di un paese e, fra l’altro, anche ed essenzialmente dalle condizioni, quindi anche dalle abitudini e dalle esigenze fra le quali e con le quali si è formata la classe dei liberi lavoratori» (Il capitale, vol. I, Editori Riuniti, Roma 1980, p. 204).

    Sotto il capitalismo questa relatività storico-morale dei bisogni necessari influisce persino sul prezzo della forza-lavoro, tanto che Marx definisce quella scambiata con un salario sufficiente a coprire le sole necessità fisiologiche come forza-lavoro venduta al di sotto del proprio valore; e tale prezzo include anche il costo della riproduzione della mano d’opera nel tempo, per cui — a meno che si universalizzi la spregevole pratica dell’utero in locazione — dalla sessualità non si può prescindere.

    La produttività del capitale non genera soltanto il consumismo — concetto oltremodo abusato da intellettuali tanto più inclini a predicare l’ascesi quanto più lontani da ogni reale esperienza di privazione, — ma anche lo sviluppo multilaterale dei bisogni come suo apporto storico-universale: «In fact però, se la si spoglia della limitata forma borghese, che cos’è la ricchezza se non l’universalità dei bisogni, delle capacità, dei godimenti, delle forze produttive ecc. degli individui, generata nello scambio universale?» (Opere, vol. XXIX, Editori Riuniti, Roma 1986, p. 420). I bisogni e i diritti dell’uomo non sono deducibili né da una natura indebitamente assurta a legislatrice né dalle definizioni formali della persona giuridica, ma solo dall’avvicendarsi storico delle formazioni sociali che li determinano nella prassi malgrado le elucubrazioni dei teorici.

    Come leggiamo sempre nei Grundrisse, la storicità investe perfino i bisogni alimentari: «La fame è fame, ma la fame che si soddisfa con carne cotta, mangiata con forchetta e coltello, è una fame diversa da quella che si soddisfa divorando carne cruda con le mani, le unghie e i denti» (Ivi, p. 25). Pertanto lo studio della fisiologia e della biologia può dirci tanto poco sull’importanza della sessualità e dell’amore nella vita umana quanto l’analisi chimica della moneta d’oro sulla genesi della forma di valore; il paralogismo con cui si nega che il sesso sia un diritto solo perché la sua mancanza non procura la morte è altrettanto fallace di quello con cui Jordan Peterson inferisce la naturalità e la giustizia dei rapporti di dominio e sfruttamento nella società borghese dall’esistenza di gerarchie presso le aragoste.

    Completamente diverso è l’approccio di sociologici sovietici come Vladislav Kelle e Matvej Kovalson, che riconoscono l’oggettività dei bisogni sessuali: «Ogni individuo ha bisogno di mangiare e bere, di dormire, di riposare, di soddisfare il suo istinto sessuale, ecc.» (Il materialismo storico, Edizioni Progress, Mosca 1975, p. 286). Il riconoscimento dei bisogni umani è la chiave di volta dell’uguaglianza sostanziale perché, senza riconoscere i bisogni di ciascuno e senza garantire i diritti indispensabili a coprirli, le frasi sulla parità, sul rispetto e sull’emancipazione restano sospese in aria.

    Questo riconoscimento influenzava anche le politiche demografiche dell’URSS, come emerge dai ricordi di Leonid Brežnev sui trasferimenti di popolazione nelle terre vergini dell’Asia centrale: «In fin dei conti, si trattava di pianificare la felicità umana. Ognuno ha bisogno di una casa, di un focolare, dell’amore e dei figli. Lo Stato e la società non possono dar moglie a un giovanotto, ma devono fare in modo che nel paese non ci siano circondari interamente maschili o città esclusivamente femminili. Se i problemi demografici vengono risolti correttamente, i giovani s’incontreranno e saranno felici. Ed è necessario che siano felici, altrimenti il paese non può prosperare» (Memorie di guerra e dopoguerra, Editori Riuniti, Roma 1979, p. 188).

    Dello stesso avviso sono anche marxisti più eterodossi come Ágnes Heller: «I “bisogni esistenziali” sono ontologicamente primari, dal momento che sono fondati sull’istinto di autoconservazione. Essi sono, tra gli altri, il bisogno di nutrimento, il bisogno sessuale, il bisogno di contatto sociale e di cooperazione, il bisogno dell’attività. […] Il capitalismo è la prima società che mediante la forza e la sua struttura sociale condanna intere classi della popolazione a lottare quotidianamente per la soddisfazione dei puri e semplici bisogni esistenziali, dall’epoca dell’accumulazione originaria fino a oggi, senza parlare del Terzo Mondo. In questo senso Marx parla della classe operaia del suo tempo come classe “senza bisogni”, cioè ridotta a livello bestiale nella soddisfazione dei suoi bisogni esistenziali» (La teoria dei bisogni in Marx, Feltrinelli, Milano 1978, p. 154).

    Con la sua critica da destra alla piramide di Maslow, tesa alla negazione anche di quel “minimo sindacale” riconosciuto dalla socialdemocrazia anziché all’arricchimento dei bisogni umani in vista del comunismo, il Collettivo LeGauche ci riporta al livellamento di tali bisogni verso il basso o, come dice Marx, «alla innaturale semplicità dell’uomo povero, rozzo e senza bisogni, che non ha ancor sorpassato la proprietà privata, che anzi non è ancor pervenuto alla medesima» (Opere, vol. III, Editori Riuniti, Roma 1986, p. 322). Perché gli manca lo sviluppo universale dei bisogni storici innescato dal modo di produzione capitalistico, in cui il sesso è già posto come bisogno oggettivo (socialmente riconosciuto) e trattato come canone di misura del valore della persona maschile, anche dai membri del Collettivo quando scherniscono gli “sfigati che non scopano”. Indipendentemente dalla loro coscienza soggettiva e dalle loro convinzioni teoriche dichiarate, anche i nostri critici pensano, giudicano e agiscono secondo la logica oggettiva della costruzione storico-sociale dei bisogni necessari e in base ai parametri assiologici che ne derivano.

    Nella società capitalistica che inopinatamente descrivono alla perfezione, «il diritto ad amare può solo affermarsi nel diritto a non aver ostacoli ed impedimenti di fronte a sé per riuscire a costruire le migliori relazioni, ergo avere il diritto ad avere le possibilità di un rapporto affettivo, ma mai ad ottenerlo come compensazione a seguito della promulgazione di un reddito affettivo di cittadinanza». Questa è precisamente la libertà negativa, la sola che il diritto borghese possa offrire. L’universalità di questo diritto è soltanto formale: sulla carta tutti ne sono titolari, ma il suo effettivo esercizio dipende da una serie di variabili esterne (appartenenza di classe, tratti genetici, ecc.) che esulano dal controllo del singolo individuo. E un diritto che non sia effettivamente universale non è un diritto, ma un privilegio che rinforza le “gerarchie naturali” care all’estrema destra e discrimina gli esclusi.

    Questo sistema ha la sua ragion d’essere storica e funzionale nel capitalismo che tiene i lavoratori sotto il pungolo del bisogno per stimolarli a sgobbare sempre di più, per asservirli al denaro come anello di mediazione dei rapporti umani. Ma non ha senso mantenerlo in vigore nella società comunista, in cui il lavoro «non è divenuto soltanto mezzo di vita, ma anche il primo bisogno della vita» (Marx), attività auto-motivata che non richiede più incentivi meritocratici esterni. Non vi è nessun motivo razionale per opporsi al riconoscimento dei bisogni affettivi e sessuali dell’essere umano e alle misure di bilanciamento del potere sessuale introdotte in Corea del nord, se non la volontà (vera “ciofeca soggettivista”) di perpetuare la disuguaglianza fra gli uomini in una sfera importante della vita proclamando, a tal fine, l’immortalità del diritto borghese con le sue antinomie di forma e contenuto.

    Questa volontà appare evidente dalla negazione del diritto dei disabili alla sessualità, ormai tutelato perfino in alcuni paesi capitalistici. L’articolo 6 della Legge sulla protezione dei disabili nella RPD di Corea recita: «Lo Stato rafforza l’educazione del popolo affinché i disabili siano trattati con nobile amore umano e senza alcuna discriminazione e ricevano sincero sostegno». Di conseguenza, come documentato in Socialismo e potere sessuale, l’85,1% dei disabili nel paese sono sposati. Il Collettivo LeGauche denuncia che questa politica «non è la valorizzazione della differenza, ma la volontà di celarla in istituzioni di amministrazione dei corpi», che conduce alla «completa sostituzione dell’identità e della dignità dietro meccanismi di ammortamento» in cui consisterebbe il vero “abilismo”.

    È lo stesso argomento accampato dalla Boschi nel 2018 contro l’istituzione del Ministero della disabilità, bollato come “ministero della discriminazione” che, riconoscendo i problemi dei disabili, li tratterebbe come inferiori agli altri cittadini. A questi odiosi sofismi rispose il deputato Matteo dall’Osso, affetto da sclerosi multipla, con un meritatissimo “vaffa”:
    Il liberalismo antepone i concetti metafisici di “identità”, “dignità” e “personalità” alla concretezza dei bisogni umani che il comunismo invece riconosce nelle loro differenze e soddisfa, come scrive Lucio Colletti, per «impedire che le diverse attitudini individuali possano cristallizzarsi in privilegi» (Ideologia e società, Laterza, Bari 1975, p. 262). Questa è la circostanza essenziale che i nostri “neo-marxisti” trascurano: gli handicap fisici ed estetici non sono parti dell’“identità personale” come le altre, ma limiti che restringono l’effettiva libertà della persona e creano ingiusti differenziali di potere. Di qui la necessità di una critica ad hoc.

    L’economicismo contestato al Collettivo LeGauche non è il primato del lavoro e dei rapporti di produzione, su cui tutti convengono, ma il suo uso retorico e demagogico di questa preminenza per negare l’utilità (?) della critica del potere sessuale. Come se lo squilibrio di questo potere fosse una variabile indipendente che minaccia di “rubare il posto” all’economia e non una delle tante contraddizioni secondarie generate dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e, nella fattispecie, dall’influsso diretto (sfruttamento del lavoro domestico, prostituzione, pornografia, ecc.) e indiretto (liberalizzazione, competizione e selezione) del mercato sui rapporti fra i sessi.

    L’economicismo ignora tutto ciò che esula dalla contraddizione tra capitale e lavoro, il marxismo riconduce le contraddizioni secondarie a quella fondamentale e ne indica la soluzione comune. Il “mercato sessuale” scompare insieme al capitalismo e ai suoi residui, come risulta anche dalla citazione di Engels che il Collettivo stesso ha riportato. Forse gli è sfuggito per un banale errore di trascrizione a pag. 109, ove si legge che l’effettiva uguaglianza tra i sessi «agirà in una misura infinitamente maggiore nel far divenire effettivamente monogami gli uomini, piuttosto che nel far divenire poliandriche le donne» (e non “poliedriche”): la politica sessuale del Partito del lavoro di Corea è, in nuce, tutta qui.

    A guisa di controprova, quand’anche il Collettivo LeGauche al potere decretasse che “il sesso non è un bisogno”, gli individui continuerebbero a percepirlo come tale e la domanda insoddisfatta — destinata a crescere parallelamente al benessere materiale — stimolerebbe l’offerta di sesso mercenario, riportando così in scena il denaro e il mercato poiché, secondo le parole di Marx ed Engels, «col bisogno ricomincerebbe anche il conflitto per il necessario e ritornerebbe per forza tutta la vecchia merda» (Opere, vol. V, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 34). In ultima analisi, se svolte fino alle loro estreme conseguenze, le premesse dei nostri avversari portano all’autodistruzione inevitabile di questo loro pseudo-comunismo che obbliga una parte della popolazione maschile all’ascetismo forzato. Conclusione che non stupisce, alla luce delle loro numerose posizioni ormai indistinguibili da quelle del dipartimento di Stato americano.

    Last but not least, la concezione naturalistica dei bisogni umani che viene contrapposta al marxismo per discriminare gli incel segna un arretramento perfino in confronto ai precursori utopisti: «Dimentichi del loro dovere di fornire un minimo di sussistenza, i legislatori sono ancor meno inclini a garantire un minimo di gratificazione sessuale. Suppongono che i bisogni sessuali siano meno urgenti del bisogno di cibo. Questo è un errore. Anche se una persona può vivere senza rapporti sessuali ma non senza cibo, è certo che il bisogno di piaceri tattili o sensuali causa altrettanti disordini sociali del bisogno di sussistenza» (The Utopian Vision of Charles Fourier, Beacon Press, Boston 1971, p. 339).

    Spesso non siamo in grado di cogliere il valore di ciò che abbiamo finché qualcuno non ce lo toglie. A quanti affermano che “il sesso non è un bisogno” o “il sesso non è un diritto” va semplicemente proibito di farlo, sotto minaccia di pesanti sanzioni giudiziarie. Se la loro teoria è corretta, allora non subiranno il minimo nocumento da un simile divieto e non avranno alcuna difficoltà a rispettarlo. In caso contrario, saranno automaticamente rieducati al comunismo, o meglio alla più basica empatia umana, e abbandoneranno il darwinismo sociale.
     
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