Del patriarcato.

La determinazione qualitativa della condizione di cittadinanza in relazione al genere di appartenenza

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  1. Biodom
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    Sulla destrutturazione dell’idea di patriarcato, qui inteso in accezione sociologica.

    Premesse

    Per dirimere una volta per tutte la controversia che si interroga sulla natura della matrice ideologica concreta, su cui è improntato il modello sociale attuale e se essa sia di stampo femminista o maschilista, è necessario misurare, in ogni aspetto esistenzialmente rilevante, i “bonus” o i “malus” che si registrano per il fatto stesso di appartenere all’uno o all’altro genere sessuale.

    Lo scopo di questa indagine è quello di dimostrare che non esiste alcuna “questione patriarcale” in danno del sesso femminile, questione intesa come modello culturale che permea gli strati sociali e ne condiziona qualitativamente la vita tanto nei dettagli quotidiani, quanto nella pianificazione della sua stessa essenza, nella progettualità e nelle aspirazioni di un modello esistenziale ma, si badi, le conclusioni a cui si giungerà non saranno frutto di pregiudizio o meta predeterminata, perché la metodologia usata sarà volutamente di tipo non-partecipante, riconducibile a mera analisi e messa a fuoco di dati oggettivi, senza relazionarci con campioni rappresentativi e senza addentrarci in interpretazioni.

    Qui si vuole supportare la realtà dei fatti.

    Per fare questo bisogna stabilire alcuni parametri di valutazione comuni; in questa analisi individuiamo 3 aspetti fondamentali relativi all’individuo, che saranno oggetto di valutazione:

    1 – Aspetto statale, relativo alle interazioni ed ai rapporti cittadino/Stato;
    2 – Aspetto sociale, relativo alle interazioni della sfera personale dell’individuo, e quindi ai rapporti tra cittadini;
    3 - Aspetto biologico, relativo alla salute ed alla prospettiva di vita dell’individuo.

    Il territorio di riferimento è quello italiano, nell’anno 2018.

    Secondo fonte Istat, al primo gennaio 2018 la popolazione totale anagrafica conta 60.483.973 unità (29.427.607 maschi e 31.056.366 femmine), tuttavia noi, qui, consideriamo questo dato come un dato sporco in quanto comprensivo degli stranieri risultanti in anagrafe (5.144.440 unità, pari al 8,5% del totale dei residenti); poiché del sottogruppo straniero non ci è dato conoscere la suddivisione M/F e, dal momento che i flussi migratori in ingresso hanno rapporti M/F dettati dalle contingenze migratorie e non rispecchiano alcuna tendenza con la popolazione d’origine (e che in ogni caso potrebbe non averne con quella integrante), con una forzatura inevitabile, la ricaviamo in proporzione fatti salvi i già evidenziati margini di approssimazione, e otteniamo il dato approssimato della popolazione italiana d’origine in anagrafe, così stimato: 26.924.654m e 28.414.879f per un totale di 55.339.553 individui.

    Il primo elemento che salta all’occhio è la differenza numerica in favore del sesso femminile; con 28.414.879 individui e un esubero di 1.490.225 unità, il sesso femminile rappresenta il 51,35% della popolazione italiana d’origine mentre il sesso maschile ne è rappresentativo per il 48,65%.

    Considerazione generale:

    Nonostante la pessima reputazione delle istituzioni italiane, per i cittadini la democrazia resta l’unico orizzonte possibile: il 67% degli italiani ne è pienamente convinto (fonte: demos.it).

    Gli italiani sono, quindi un popolo democratico e si rapportano con uno Stato che vogliono, e sentono, democratico.


    Dell’aspetto statale

    Dalle origini ai nostri giorni, il ruolo femminile.

    Estrapoliamo da un articolo a firma di Livia Turco pubblicato sulla Fondazione Nilde Iotti; un articolo scritto da una politica di sinistra, sullo spazio web di una fondazione dedicata ad una politica di sinistra: questa nota è importante perché è quello che una politica emancipata scrive di suo pugno su ciò che pensa sia accaduto; nessun condizionamento quindi, nessun “patriarca occulto” che dipinge una realtà di comodo o inesistente:

    “Le donne sono state protagoniste della nascita e della costruzione della nostra Repubblica.
    Hanno partecipato alla battaglia di liberazione contro il fascismo ed il nazismo, per la libertà e la democrazia. Hanno conquistato attraverso il loro impegno, che si è dispiegato a partire dal Risorgimento, il diritto di voto e si sono mobilitate per convincere le cittadine ad esercitare questo loro fondamentale
    diritto. Appello che fu raccolto e nel 1946 la stragrande maggioranza delle donne andarono a votare. Le donne hanno contribuito alla stesura della Costituzione e poi hanno determinato il cambiamento profondo della nostra società, i suoi costumi e valori, le sue condizioni di vita, le sue leggi.

    La Repubblica italiana può dunque essere definita di donne e di
    uomini, essa ha delle madri e dei padri. Proprio perché le donne come gli uomini ne sono state pienamente protagoniste. Ma le donne sono state le protagoniste fondamentali del cambiamento successivo, quello che ha cercato di inverare i valori della nostra Costituzione. Lo si può leggere attraverso le leggi che hanno cambiato l’Italia e che hanno avuto come autrici le donne, sia nei movimenti autonomi, sia nei partiti che nelle istituzioni.

    In questo piccolo libro raccogliamo in ordine cronologico le leggi che hanno avuto le donne come principali protagoniste e descriviamo il contenuto di quelle più importanti. Esso dimostra quanto sia stato profondo il cambiamento sociale, culturale e giuridico promosso dalle donne nel corso della vita
    repubblicana. C’è un filo rosso che attraversa queste leggi. La promozione della dignità della persona umana attraverso l’inclusione sociale, l’inserimento nel lavoro, la lotta alle discriminazioni, la valorizzazione dei legami familiari. La promozione della parità ed il riconoscimento della differenza femminile. Queste leggi delineano un sistema di welfare solidale, attivo, che prende in carico ciascuna persona, all’interno di uno sviluppo economico che valorizza le risorse umane. Delineano altresì una
    dimensione della cittadinanza che deve essere – per tutti – cittadinanza sociale, civile e politica.
    Promuovono una nuova cultura del lavoro, che deve essere fonte di dignità per tutti, anche delle persone più fragili e che deve saper costruire un’alleanza con gli altri tempi della vita, promuovendo la esponsabilità maschile nei tempi di cura delle persone e della famiglia. Questa nuova concezione del lavoro inizia con
    la legge 860 del 1950 e si conclude con la legge 8 marzo 2000 “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione, per il coordinamento
    dei tempi della città”. Esse sono il frutto di una democrazia basata sul dialogo tra culture, sulla condivisione di valori, sulla partecipazione attiva dei cittadini (…)”.



    Risulta, quindi, difficile comprendere come si possa parlare di patriarcato in un sistema che nasce nella sua stessa essenza costitutiva forgiato anche da valori femminili che hanno contribuito ad improntarne lo sviluppo.

    Di seguito l’elenco delle Madri Costituenti, espressione dello spettro partitico dell’epoca, e della funzione assolta:

    Per il PCI:
    ADELE BEI
    Luogo di nascita: Cantiano (PU)
    Mestiere: casalinga
    In Assemblea: sostiene la parità tra uomo e donna.

    NADIA GALLICO SPANO
    Luogo di nascita: Tunisi
    Mestiere: giornalista
    In Assemblea: interviene in particolare sui temi legati alla famiglia. La sua iniziativa più conosciuta è l’organizzazione, in collaborazione con la Croce Rossa e il Comune di Roma, dei cosiddetti “treni della felicità”, convogli che trasportarono 70.000 bambini meridionali rimasti orfani nelle famiglie del Nord Italia.

    NILDE IOTTI
    Luogo di nascita: Reggio Emilia
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: fa parte della Commissione dei 75, intervenendo in favore della famiglia e dell’emancipazione della donna; è membro della I Sottocommissione, in cui si batte per l’affermazione del principio della parità tra i coniugi, del riconoscimento dei diritti dei figli nati fuori dal matrimonio e delle famiglie di fatto

    TERESA MATTEI
    Luogo di nascita: Genova
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: è Segretaria dell’Ufficio di Presidenza

    RITA MONTAGNANA
    Luogo di nascita: Torino
    Mestiere: artigiana, giornalista pubblicista
    In Assemblea: non interviene ma presenta insieme ad altri diverse interrogazioni

    ELETTRA POLLASTRINI
    Luogo di nascita: Rieti
    Mestiere: funzionaria di partito
    In Assemblea: non interviene ma presenta insieme ad altri diverse interrogazioni

    MARIA MADDALENA ROSSI
    Luogo di nascita: Codevilla (PV)
    Mestiere: chimica, giornalista pubblicista
    In Assemblea: è membro della Commissione per i trattati internazionali. In questo ambito interverrà in merito all'approvazione del Trattato di pace fra l'Italia e le potenze alleate firmato a Parigi il 10 febbraio 1947. Si adopera inoltre per il riconoscimento della parità femminile sia nella famiglia che nel mondo del lavoro e sostiene il diritto delle donne di accedere e di partecipare all'amministrazione della giustizia in campo sia civile che penale


    TERESA NOCE
    Luogo di nascita: Torino
    Mestiere: sindacalista, giornalista pubblicista
    In Assemblea: è membro della Commissione dei 75, dove da un importante contributo all’art. 3 della Costituzione, con l’inserimento della frase “Tutti i cittadini [...] sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso", base giuridica per il raggiungimento della piena parità di diritti tra uomo e donna


    Per il PSI:
    BIANCA BIANCHI
    Luogo di nascita: Vicchio (FI)
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: sostiene diversi interventi in merito alla scuola, alle pensioni e all’occupazione. In particolare si ricorda il suo intervento per il riconoscimento giuridico dei figli naturali.

    ANGELINA MERLIN
    Luogo di nascita: Pozzonovo (PD)
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: è membro della Commissione dei 75 e della III Sottocommissione, dove sostiene il dovere dello Stato di garantire a tutti i cittadini il minimo necessario all’esistenza, per assicurare ad ogni individuo il diritto di crearsi una famiglia. Si esprime anche a favore del diritto di proprietà garantito dallo Stato e accessibile a tutti i cittadini

    ANGIOLA MINELLA MOLINARI
    Luogo di nascita: Torino
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: non interviene ma presenta insieme ad altri diverse interrogazioni


    Per la DC:
    LAURA BIANCHINI
    Luogo di nascita: Castenedolo (BS)
    Mestiere: insegnante, giornalista pubblicista
    In Assemblea: sostiene interventi in merito all’educazione e in favore della scuola pubblica. Ricopre inoltre l’incarico di segretaria della Commissione Istruzione e Belle Arti.

    VITTORIA TITOMANLIO
    Luogo di nascita: Barletta (BT)
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: interviene in difesa dell’autonomia regionale come espressione di libertà e democrazia e a sostegno della pubblicazione da parte dei giornali delle rettifiche di notizie su persone di cui sia stata lesa la dignità.

    MARIA NICOTRA VERZOTTO
    Luogo di nascita: Torino
    Mestiere: crocerossina, dirigente ACLI
    In Assemblea: fa parte della commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria in Italia e di vigilanza sulle condizioni dei detenuti. Si batte inoltre per la tutela fisica, per le condizioni economiche delle lavoratrici madri e per il controllo della stampa destinata all’infanzia e all’adolescenza


    ELISABETTA CONCI
    Luogo di nascita: Trento
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: è membro della Commissione dei 18, con il compito di coordinare gli statuti speciale regionali di autonomia con la Costituzione.

    MARIA DE UNTERRICHTER JERVOLINO
    Luogo di nascita: Ossana (TN)
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: affianca De Gasperi nella Commissione per i Trattati Internazionali e per l’elaborazione di un accordo con l’Austria sull’Alto Adige. Inoltre fa parte della Sottocommissione d’inchiesta per la riforma della scuola.

    FILOMENA DELLI CASTELLI
    Luogo di nascita: Città Sant’Angelo (PE)
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: interviene in particolare sui temi legati alla famiglia.

    MARIA FEDERICI AGAMBEN
    Luogo di nascita: L'Aquila
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: è membro della Commissione per la Costituzione e membro della Terza Sottocommissione (diritti e doveri economico-sociali).

    ANGELA GOTELLI
    Luogo di nascita: Albareto (PR)
    Mestiere: insegnante
    In Assemblea: fa parte della Commissione dei 75 per la redazione del testo costituzionale e fa parte della Prima Sottocommissione sui diritti e doveri dei cittadini. Interviene inoltre sul potere giudiziario e sul diritto delle donne di accedere agli alti gradi della magistratura.

    ANGELA GUIDI CINGOLANI
    Luogo di nascita: Roma
    Mestiere: impiegata statale, Ispettrice del Lavoro
    In Assemblea: interviene nella discussione della legge, poi ratificata nel 1950, sulla “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”, un deterrente contro licenziamenti e penalizzazioni nei confronti delle donne in maternità



    Per il Fronte dell’Uomo Qualunque:
    OTTAVIA PENNA BUSCEMI
    Luogo di nascita: Caltagirone (CT)
    Mestiere: sindacalista, giornalista pubblicista
    In Assemblea: non interviene ma presenta insieme ad altri diverse interrogazioni. Il suo partito la candida a Presidente della Repubblica, carica poi ottenuta da Enrico de Nicola


    Ora, è fuor di dubbio che il sesso femminile abbia contribuito in maniera determinante a forgiare il nucleo valoriale dello Stato moderno attuale, che noi tutti riconosciamo nella Repubblica Italiana. La stessa Costituzione espressione, come già detto (e com’è sempre bene ripetere), di sensibilità e di istanze tanto maschili quanto femminili afferma in maniera solenne alcuni principi fondamentali in tema di parità di diritti tra uomo e donna:

    Il principio generale di eguaglianza davanti alla legge (art. 3 comma 1)

    “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni politiche, di condizioni personali e sociali”;

    L’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (art. 29)

    “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”. (cod. civ. 143 ss; cod. civ. 159 ss)

    La protezione della maternità (art. 31)

    “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.

    La parità nel lavoro (art. 37)

    “La Repubblica riconosce la donna il diritto a svolgere un’attività lavorativa in condizione di parità con l’uomo e di adempiere la propria funzione materna che deve essere oggetto di una specifica protezione, con la garanzia per la lavoratrice di essere madre senza che la maternità debba o possa pregiudicare la sua posizione lavorativa e la parità di trattamento”

    La parità nella partecipazione politica (art. 48)

    Riferendosi al diritto dell’elettorato attivo, riafferma il principio di eguaglianza sancito in via dall’articolo 3.

    La parità nell’accesso alle cariche pubbliche (art. 51)

    “Tutti i cittadini, dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione diseguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.

    Com’è noto, il legislatore sin dagli anni ’50, e dimostrando una sensibilità via via crescente, ha posto in essere diverse misure in favore del sesso femminile, giustificandole come correttivi a situazioni di disparità di genere, in un’ottica di riequilibrio.


    Le leggi:


    - Legge 26 agosto 1950, n. 860 “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”

    - Legge 22 maggio 1956, n. 741 “Ratifica ed esecuzione delle Convenzioni numeri 100, 101 e 102 adottate a Ginevra dalla 34ª e dalla 35ª sessione della Conferenza generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro”. Legge sulla parità retributiva, che ha reso esecutiva la convenzione O.I.L. n. 100 del 1951.

    - Legge 27 dicembre 1956, n. 1441 “Partecipazione delle donne all’amministrazione della giustizia nelle Corti di assise e nei Tribunali per i minorenni”.

    - Legge 20 febbraio 1958, n. 75 “Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo
    sfruttamento della prostituzione altrui”. (Legge Merlin)

    - Legge 13 marzo 1958, n. 264 “Tutela del lavoro a domicilio”. Accordo sindacale che abolisce ogni qualificazione specificamente femminile dei contratti di lavoro.

    - Legge 9 gennaio 1963, n. 7 “Divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio e modifiche alla legge 26 agosto 1950, n. 860: “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”. Abolisce le “Clausole di nubilato”, vale a dire qualsiasi genere di licenziamento delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio,
    clausole che erano frequenti nei contratti di lavoro, prima dell’approvazione della legge n. 7.

    -Legge 5 marzo 1963, n. 389 Pensione alle casalinghe.

    - Legge 9 febbraio 1963, n. 66 che afferma il diritto delle donne ad accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la Magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie senza limitazioni concernenti le mansioni o i percorsi di carriera.

    - 1964 Abolizione “Coefficiente Serpieri” in agricoltura introdotto con legge nel 1934, un sistema di valutazione in base al quale il lavoro svolto da una donna veniva considerato pari al 50% di quello svolto da un uomo.

    - Sentenza del 19 dicembre 1968 della Corte Costituzionale. L’adulterio femminile non è più considerato reato. Fino ad allora la moglie adultera e il correo erano puniti con la reclusione fino ad un anno, mentre non era prevista nessuna pena per il marito adultero.

    - 1970 Legge 1° dicembre 1970, n. 898, “Disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio” ha introdotto il
    divorzio nella legislazione italiana.

    - 1971 Legge 6 dicembre 1971, n. 1044 “Piano quinquennale per l’istituzione di asili-nido comunali con il
    concorso dello Stato”.

    - 1971 Legge 30 dicembre 1971, n. 1204 “Tutela delle lavoratrici madri”.

    - 1975 Legge 19 maggio 1975, n. 151 “Riforma del diritto di famiglia”.

    - 1975 Legge 29 luglio 1975, n. 405 “Istituzione dei consultori familiari”.

    - 1976 Per la prima volta una donna, Tina Anselmi, viene nominata Ministro (Lavoro e previdenza sociale).

    - 1977 Legge 9 dicembre 1977, n. 903 “Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro” che vieta qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, la retribuzione e
    la carriera.

    - 1978 Legge 22 maggio 1978, n. 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”.

    - 1979 Nilde Jotti è la prima donna presidente della Camera

    -1981 Legge 5 agosto 1981, n. 442 “Abrogazione della rilevanza penale della causa d’onore”.

    - 1983 Legge 4 maggio 1983, n.184 “Disciplina delle adozioni e dell’affidamento familiare”.

    - 1984 Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita la Commissione nazionale per la
    realizzazione delle pari opportunità, presieduta da Elena Marinucci.

    - 1987 Legge 29 dicembre 1987, n. 546 “Indennità di maternità per le lavoratrici autonome”.

    - 1990 Legge 22 maggio 1990, n. 164 “Commissione nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna”.

    - 1990 Legge 11 dicembre 1990, n. 379 “Indennità di maternità per le libere professioniste”.

    - 1991 Legge 10 aprile 1991, n. 125 “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo donna nel lavoro”.
    - 1992 Legge 25 febbraio 1992, n. 215 “Azioni positive in tema di imprenditoria femminile”.

    - 1993 Legge 25 marzo 1993, n. 81 “Elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale” Per la prima volta vengono introdotte le “quote rosa” in merito alle elezioni dei rappresentanti degli enti locali. La legge stabilisce che il 30% dei candidati nelle liste per le elezioni amministrative siano donne, ma è stata annullata dalla Corte Costituzionale nel 1995.

    - 1996 Legge 15 febbraio 1996, n. 66 “Norme contro la violenza sessuale”.

    - 1997 Legge 27 dicembre 1997, n. 449 “Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica”. L’articolo 59,
    comma 16 prevede la tutela della maternità delle lavoratrici parasubordinate.

    - 1998 Legge 23 dicembre 1998, n. 448 “Assegno di maternità” (art. 66).

    - 1999 Decreto Legislativo 20 ottobre 1999, n. 300 “Delega al Governo per l’istituzione del Servizio Militare Volontario Femminile”.

    - 1999 Legge 8 dicembre 1999, n. 493 “Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e istituzione
    dell’assicurazione contro gli infortuni domestici”.

    - 2001 Legge 8 marzo 2001, n. 40 “Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori”.

    - 2001 Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 “Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’art. 15 della legge 8 marzo 2000 n. 53”.
    Il Testo Unico raccoglie le disposizioni contenute in oltre 25 norme ordinando tutta la materia a tutela della maternità e paternità. Vengono sistematizzate le norme vigenti sulla salute della lavoratrice, sui congedi di
    maternità, paternità e parentali, sui riposi e permessi, sull’assistenza ai figli malati, sul lavoro stagionale e
    temporaneo, a domicilio e domestico, le norme di cui usufruiscono le lavoratrici autonome e le libere professioniste.

    - 2001 Legge 5 aprile 2001, n. 154, “Misure contro la violenza nelle relazioni familiari”.

    - 2003 Legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 “Modifica dell’art. 51 della Costituzione”.
    L’art. 51 della Costituzione («Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici
    pubblici e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge») viene modificato, con l’aggiunta: «A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini».

    - 2003 Decreto costituzionale 9 luglio 2003, n. 216 “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”.

    - 2004 Legge 8 aprile 2004, n. 90, “Norme in materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e altre
    disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell’anno 2004”. L’art. 3 prescrive che le liste circoscrizionali, aventi un medesimo contrassegno, debbano essere formate in modo che nessuno dei due sessi possa essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati.

    - 2006 Decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198 “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’art. 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246”.

    - 2009 Decreto-legge 23 febbraio 2009, n. 11 (conv. Legge 23 aprile 2009, n. 38), “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”.



    - 2010 Parità sul lavoro. Con il decreto legislativo 5 del 25 gennaio 2010, si rafforza il diritto delle lavoratrici a percepire, a parità di condizioni, la stessa retribuzione dei colleghi maschi. In caso di condanna per comportamenti discriminatori, l’inottemperanza del datore di lavoro al decreto del giudice è punita con l’ammenda fino a 50mila euro o con l’arresto fino a sei mesi.

    Le aziende vengono incentivate con sgravi fiscali a promuovere orari di lavoro flessibili; viene rivista la normativa vigente sul congedo parentale per incentivare il ritorno della donna in ufficio e sono introdotti incentivi per promuovere l’imprenditoria femminile, sanzioni contro le molestie sessuali e la disparità di trattamento sul lavoro


    - 2011 Quote rosa nei consigli di amministrazione. Con la legge 12 luglio 2011 n. 120 si introduce la disposizione in base alla quale gli statuti delle società quotate dovranno prevedere che il riparto degli amministratori da eleggere sia effettuato su un criterio che assicuri l’equilibrio tra i generi, intendendosi tale equilibrio raggiunto quando il genere meno rappresentato all’interno dell’organo amministrativo ottenga almeno un terzo degli amministratori eletti. Questo criterio di riparto dovrà applicarsi per tre mandati consecutivi e varrà anche per le società soggette a controllo di pubbliche amministrazioni.


    - 2009 Stalking . Nel 2009 con la legge n.38 contro lo stalking e con il suo inserimento nel codice penale dell’art. 612-bis (dopo il 612 che definisce la “minaccia”) tra i delitti contro la libertà morale, lo stalking – inteso come comportamento molesto, ossessivo, persecutorio – diventa reato.


    - 2013 Violenza sulle donne. Nel 2013 viene poi approvato il decreto legge contro il femminicidio e la violenza sulle donne, che prevede l’aumento di un terzo della pena se alla violenza assiste un minore, se la vittima è in gravidanza, se la violenza è commessa dal coniuge (anche se separato) e dal compagno (anche se non convivente) e prevede l’arresto obbligatorio in caso di maltrattamento e stalking in caso di flagranza.



    I dubbi che oggi, qui, solleviamo sono riassumibili in poche domande:

    - Abbiamo la certezza che gli apparati statali con cui i cittadini devono necessariamente rapportarsi per le interazioni obbligate con la Pubblica Amministrazione siano effettivamente dispensatori di trattamento paritario in relazione al sesso del cittadino?

    - Lo stesso vale per i rapporti inerziali cittadino/Stato?


    - L’attività del legislatore ha condizionato e condiziona questi rapporti?


    Proviamo a rispondere senza preconcetti, sempre con lo sguardo rivolto alle politiche governative degli anni passati.

    Come abbiamo visto nel dettaglio l’indirizzo del legislatore è stato fortemente orientato verso una giurisprudenza in favore del sesso femminile, e questo ha creato – di fatto – una corsia preferenziale per i cittadini con discriminante sessuale. Da un lato, quindi, un’attività legislativa condizionata da un complesso riparatorio non del tutto ancorato alla realtà oggettiva e, dall’altro, la configurazione de facto di uno Stato non più in grado di trattare i suoi cittadini in maniera equa a prescindere dal loro sesso.

    La continua espressione di politiche in favore di uno e uno solo genere sessuale (e non di rado messe in atto a discapito del genere antagonista), e la conseguente, assecondante, legiferazione ha portato, pur senza intenzionalità, alla configurazione golemica di uno Stato sessualmente caratterizzato, dotando l’apparato pubblico di una propria identità di genere: non si corre in errore, oggi, dicendo che lo Stato Italiano, istituzionalmente, sia di genere femminile.


    Che la promulgazione di leggi in favore di un genere sessuale, seppur in teoria motivata alla base da intenti condivisibili (se, e solo se, le motivazioni di innesco fossero ancorate alla realtà), si sia rivelata un’arma a doppio taglio risulta solare dai dati che abbiamo a disposizione: restando all’anno 2018, ad esempio, rileviamo dai dati forniti dalla Caritas che “I padri separati e divorziati rappresentano oltre il 46% dei poveri. Padri costretti a dormire in macchina, a mangiare alla mensa della stessa Caritas o a dividersi in più lavori per riuscire ad arrivare alla fine del mese e mantenere la famiglia, attraverso l’assegno mensile che viene dato al genitore affidatario, rappresentato nella stragrande maggioranza dei casi dalla madre. Il 66,1% dei separati, secondo il Rapporto Caritas del 2014, non riesce a provvedere alle spese per i beni di prima necessità”. Ci troviamo di fronte ad un fatto drammatico, e di questo fatto il dato più allarmante è che si parla di individui caratterizzati da stabilità economica, prima di subire l’iniquo trattamento riservato loro dallo Stato, percorso obbligato per una coppia di genitori in fase di separazione e che ha, come si è visto, due corsie differenti: una a scorrimento veloce e gratuita, riservata alle madri, e una mulattiera gravata da pedaggio per i padri.

    Talmente sentita è questa problematica da parte dei genitori di sesso maschile che, nel tempo, sono nate associazioni spontanee come l’Associazione CODICI che si è sempre battuta per l’affido condiviso e la bigenitorialità, affiancando i numerosissimi casi di padri che si sono rivolti all’Associazione per vedere riconosciuto il loro ruolo nelle decisioni nella vita familiare. La situazione ad oggi è drammatica e la causa di questa emergenza sociale va rintracciata nelle sentenze dei Tribunali e, dunque, nelle decisioni dei Giudici, che fanno finire i padri sul lastrico in fase di separazione: le sentenze – sottolinea Codici – sono incredibilmente sproporzionate a favore delle madri (in Italia nel 92-97% dei casi il figlio viene affidato alla mamma) e ogniqualvolta un padre si ritrova a dover partire da zero, a dover lasciare la casa e a sostenere le spese per il mantenimento dei figli, viene impoverito e diventa a rischio indigenza. L’Associazione CODICI chiede a gran voce ai Giudici di rivedere le ragioni che portano ad una evidente sproporzione nei casi di separazione, che si concludono con il collocamento dei figli quasi esclusivamente presso la madre, la quale in pratica può usufruire di un altro stipendio, mentre mette seriamente a repentaglio il destino dei padri, sempre più impoveriti e fragili di fronte alla decisione della magistratura. “La nuova emergenza sociale è rappresentata dall’impoverimento di quei padri che restano soli dopo la separazione e la colpa è dei Giudici che riducono in stato di povertà, in maniera cosciente e consapevole i padri separati” – questa l’affermazione del Segretario Nazionale di CODICI Ivano Giacomelli, che porta all’attenzione i dati dei Tribunali italiani nelle cause di separazione in Italia.

    E’ imperativo, secondo nostra opinione, e anche perché i tempi sono – con evidenza - maturi, prendere atto del fallimento delle politiche profemminee con una riforma profonda e strutturale del diritto di famiglia.


    Cenni in materia economica.

    Sempre sulla scia delle leggi e delle iniziative governative in favore del sesso femminile non si può, qui, non rilevare quella che è una evidente discriminazione di cittadini in base al genere di appartenenza. Ci riferiamo a tutte quelle azioni concrete che, sotto l’ombrello ideologico delle “pari opportunità” rendono disponibili capitali per fare impresa, ai cittadini di sesso femminile, a condizioni di gran lunga migliori rispetto a quelle reperibili sul libero mercato finanziario da un cittadino di sesso maschile. Rimarchiamo che, spesso, la reperibilità di capitali è determinante nell’avvio di una nuova impresa, ed è logica infantile comprendere che se il cittadino di sesso X e il cittadino di sesso Y hanno un’idea imprenditoriale e capitali insufficienti tali da rendere la partecipazione statale indispensabile per l’avvio d’impresa, e che se lo Stato attraverso una legge stabilisce di finanziare solo i cittadini di sesso Y, non si tratta di offrire alcuna “pari opportunità” quanto, molto più concretamente, di favorire i cittadini di sesso Y nel creare impresa e questo, in un Paese con un tasso di disoccupazione al 9,7% ad agosto 2018, tasso che come sappiamo coinvolge entrambe le componenti di genere, con l’Istat che ci dice che “Ad agosto si stima un aumento degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,3%, pari a +46 mila unità). L’aumento coinvolge principalmente gli uomini e si distribuisce in tutte le classi di età ad eccezione dei 35-49enni. Il tasso di inattività sale al 34,5% (+0,1 punti percentuali).”, questo si rivela un sistema di incentivo semplicemente inaccettabile nella sua essenza discriminatoria e divisiva.


    Dell’aspetto sociale.

    Cenni preliminari per una corretta messa in obiettivo della questione sociale in analisi.

    Cos’è la società? A quali bisogni risponde?

    Le domande sopra esposte trattano un argomento complesso e necessiterebbero di trattazione propria esaustiva. Verranno, qui, soddisfatte in maniera breve e selettiva, affrontandole da un punto di vista necessariamente riduttivo in quanto mero strumento introduttivo.

    In una sintesi estrema possiamo definire la società come una comunità organizzata e funzionale.

    Secondo Freud l’individuo sociale, cioè l’individuo che si civilizza è per forza di cose “rinunciatario”.

    Secondo Freud, infatti:

    “Di fatto l’uomo primordiale stava meglio, poiché ignorava qualsiasi restrizione pulsionale. In compenso la sua sicurezza di godere a lungo di tale felicità era molto esigua. L’uomo civile ha barattato una parte della sua possibilità di felicità per un po’ di sicurezza”


    Sviluppando l’osservazione freudiana possiamo dire, quindi, che l’uomo sociale rinuncia ad una parte della sua libertà per godere di alcune certezze in termini di sicurezza, approvvigionamento dei beni di prima necessità, soddisfacimento di bisogni primari.

    L’organizzazione sociale presuppone, pertanto, la definizione di ruoli; nella società moderna questi ruoli generalmente vertono sulla dualità (es: datore di lavoro/impiegato, maestro/alunno, medico/paziente ecc), per poter funzionare il meccanismo sociale deve avere bassa conflittualità tra i ruoli, ed i “valori” che una società determina non sono altro che coefficienti sociali atti a ridurre la conflittualità; la stessa dualità si ritrova chiaramente all’interno del nucleo familiare, dove la definizione dei ruoli regola i rapporti della coppia originaria la cellula costituente il tessuto sociale, secondo valori comunemente accettati. Nel modello sociale occidentale i generi maschile e femminile hanno sempre avuto ruoli classicamente predeterminati seppure, al giorno d’oggi, declinati sulle corde di una società moderna e dinamica.

    All’interno di una società, pertanto, ognuno ha fatto a priori delle rinunzie di libertà. La libertà dell’individuo moderno in senso assoluto, quella comunemente intesa, non esiste perché è solo un malinteso feticcio ideologico: esiste “l’idea di libertà” che si traduce in una mediazione basata su compromessi ineluttabili altrimenti, se così non fosse, vivremmo ancora nell’epoca in cui le controversie si dirimevano per mezzo della nuda forza.

    Il “patto sociale” non è altro che la coniugazione di questi compromessi in un equilibrio accettato - con funzione di collante - che, fondato sulle rinunzie comuni di porzioni di libertà, smussa gli attriti ed abbassa il conflitto entro livelli che permettono la pacifica convivenza e, questo, vale per tutti le categorie degli attori sociali. Per questi motivi, ad esempio, un maschio è un cittadino ma potenzialmente è anche un lavoratore, un padre, un nonno, un capofamiglia; allo stesso modo una femmina è una cittadina ma in potenza è anche una lavoratrice, una madre, una nonna. Le rinunzie vengono quindi colmate dalle attese sociali, cioè dalle aspettative comportamentali riservate ai ruoli predeterminati: diversamente non vivremmo più in una società ma dentro un insieme casuale di singole individualità egoisticamente centrate.

    Una società non è mai determinata, statica, non è un monolite immutabile; essa è in continuo cambiamento: la società si adegua alla mutevolezza umana, ai tempi, e tuttavia c’è differenza tra il cambiamento interno al patto sociale, costruttivo e che spinge al progresso sociale, ed il cambiamento distruttivo, fine a sé stesso e che, se lasciato fuori controllo, corrompe irreversibilmente il patto sociale.

    Il cambiamento interno adegua i ruoli all’epoca corrente, il cambiamento di rottura disattende i ruoli e determina il collasso del modello sociale esistente.

    Nella società odierna è senza dubbio il genere femminile a venir meno al suo ruolo, a spezzare la coesione sociale, e questo non perché la donna si sia emancipata e sia diventata lavoratrice, istruita, in grado di poter divorziare, abortire e, in sostanza, determinarsi: queste sono conquiste assodate, e non sono, ora, messe in discussione. La femmina spezza il patto sociale perché non riconosce più il suo ruolo e non assolve più alla sua funzione di attore sociale.

    L’egoismo individualista di un genere ha prevalso sul ruolo sociale, ed è venuta meno la disponibilità ad effettuare quelle rinunzie necessarie ed inevitabili su cui si fonda la convivenza civile.

    I padri fanno i padri (o vorrebbero ancora farlo), ma le madri non fanno (più) le madri.

    Il diritto al lavoro, ad esempio, è senza dubbio un esempio emblematico. Il lavoro è, sostanzialmente, una pena, e per questo si viene retribuiti; sappiamo che il lavoro è essenziale per il sostentamento della famiglia (riferiamoci, ad esempio, alla famiglia/tipo composta da padre, madre e figli minorenni), e che almeno 1 dei componenti adulti della famiglia, deve lavorare per provvedere al mantenimento economico della stessa. Normalmente, e come finora accettato dal modello sociale corrente, pur avendo padre e madre esattamente stessi diritti e doveri, l’aspettativa dei ruoli sociali ha sempre avuto come attesa il fatto che il padre lavorasse e la madre badasse maggiormente alla crescita dei figli: un impegno lavorativo svolto fuori casa, in primis, dal maschio e un impegno lavorativo svolto in casa dalla madre. Questo non significa che una femmina, nel ruolo di madre, non possa e/o non abbia il diritto al lavoro, tutt'altro, basta leggere la nostra Costituzione per prenderne atto; ma questo diritto al lavoro, nel nostro modello (e come sarebbe ovvio e logico attendersi, in ogni caso), è stato sempre esercitato come seconda opportunità in caso di esigenza: una madre va al lavoro fuori di casa se è utile ed inevitabile per il mantenimento del nucleo familiare, e questo fino a che il lavoro è stato caricato del giusto significato (pena, necessità), e maschi e femmine avevano lo stesso intento vitale, quanto meno nelle aspirazioni valoriali, di progettualità e costruzione di un nucleo familiare genuinamente condiviso.

    Questo modello sta venendo meno da quando, su input di infondate istanze femministe ideologizzate dapprima in pensiero dominante (già dagli anni ’50), e sedimentate negli anni in sentire comune femminile, il lavoro non è più inteso nella sua accezione di pena/necessità, ma come mezzo per affrancarsi da un non meglio specificato giogo maschile, come se lavorare fosse qualcosa di fine a se stesso e non mezzo comune da usare quando strettamente necessario per le esigenze famigliari: oggi molte femmine che sono già madri, disattendono il proprio ruolo pur di uscire fuori di casa per lavorare anche se questo non è necessario, sobbarcando il maschio di una mole di lavoro evitabile (quando si lavora in 2 il lavoro in casa deve essere redistribuito, e questo è comprensibile quando il lavoro fuori per entrami è inevitabile, non lo è quando il lavoro fuori resta inevitabile per lui e un capriccio per lei); il lavoro non è più un mezzo ma un fine: non serve ALLA famiglia ma serve per evadere DALLA famiglia, anche a costo di sottrarre tempo ai figli piccoli, di caricare il partner di ulteriore lavoro inutile, di venir meno al proprio ruolo.

    *Dell’aspetto biologico.



    Partiamo da un dato: le femmine vivono più a lungo dei maschi (la loro speranza di vita in Italia è di 84,9 anni contro 80,3 dei maschi).

    Le principali cause di morte – tumori, malattie cardiocircolatorie (per esempio l’infarto) e malattie cerebrovascolari (per esempio l’ictus) – sono le stesse per gravità, ma a morire sono in media di più gli uomini (il tasso di mortalità per 100mila abitanti in Italia è rispettivamente per le tre patologie di 332,03 per gli uomini e 187,26 per le donne per i tumori, 135,74 e 72,97 per le cause cardiocircolatorie e 87,99 e 73,96 per quelle cerebrovascolari).


    Questa differenza significativa nell’aspettativa di vita tra maschi e femmine la ritroviamo in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea: ad esempio, nel 2015, nell’Ue la media era di 83,3 anni per le femmine e di 77,9 anni per i maschi, con un divario di 5 anni e mezzo. Tra gli Stati membri, la differenza tra le femmine e i maschi varia dai 10-11 anni in Lettonia e Lituania a poco meno di 4 anni in Danimarca, Irlanda, Cipro, Paesi Bassi, Svezia e Regno Unito.

    Le femmine sono il 5 % più degli uomini nell’Ue.

    Come conseguenza di un’aspettativa di vita più lunga, nell’Ue ci sono più femmine che maschi, con 105 femmine ogni 100 maschi (5 % in più) nel 2016. Questo succede in quasi tutti gli Stati membri, con differenze più marcate in Lettonia (18 % in più), Lituania (17 % in più) ed Estonia (13 % in più), mentre Lussemburgo, Malta e Svezia hanno un numero di maschi leggermente superiore alle femmine.

    Il numero di femmine che vivono sole con i figli è sette volte superiore a quello dei maschi (questo dato si riallaccia alla legislazione relativa alle separazioni nettamente a favore delle femmine; la considerazione si può allargare all’intera UE: è la legislazione dei singoli stati nel complesso, espressa a livello europeo, ad essere evidentemente favorevole al sesso femminile).

    Se analizziamo il modo di vivere delle femmine e dei maschi – coppie, single, con o senza figli – si possono vedere numerose differenze. Nell’Ue nel 2016, il 7,7 % le femmine di età 25-49 anni vive sola con i figli, rispetto all’1,1 % dei maschi della stessa età. Per i single senza figli nella stessa classe d’età, la percentuale è del 9,5 % per le femmine e del 16,1 % per i maschi.

    Un altro gruppo che presenta ampie differenze tra le femmine ei maschi sono i single che hanno 65 anni o più: la percentuale di anziane che vivono da sole (40,1 %) è doppia di quella degli anziani (19,7 %).

    Cause di morte

    Tumori, malattie cardiocircolatorie (per esempio l’infarto) e malattie cerebrovascolari (per esempio l’ictus) sono le tre cause di morte più comuni sia per le femmine che per i maschi nell’Ue.
    Per le tre tipologie, le morti tra i maschi sono più frequenti di quelle fra le femmine: nell’ Ue nel 2014, 349 maschi su 100.000 sono morti di tumore mentre le femmine sono state 201, 171 maschi ogni 100.000 sono morti per malattie cardiache a fronte di 94 femmine e 93 maschii per 100.000 sono morti per malattie cerebrovascolari contro 79 femmine.

    Soddisfazione per la propria vita

    Maschi e femmine sono egualmente felici della propria vita
    Come già menzionato vi sono ampie differenze nella vita delle cittadine e dei cittadini Uei; tuttavia, quando si misura la soddisfazione per la propria vita la percezione che se ne ha è quasi uguale. In media nell’Ue, nel 2013 le femmine dai 16 anni in su valutano la propria soddisfazione di vita a 7,0 in una scala da 0 a 10, mentre i maschi la valutano 7,1. Nella maggior parte degli Stati membri il punteggio o è uguale o differisce di 0,1.

    In sintesi, anche dal quadro statistico sulle condizioni di salute e soddisfazione della propria vita, che qui emerge, non si rileva alcun “patriarcato” in essere anzi, al contrario, è possibile rilevare una sostanziale parità di soddisfazione della vita per entrambi i sessi, nonostante l’aspettativa di vita sia nettamente inferiore per i maschi rispetto alle femmine.

    Conclusione: dalla nostra analisi possiamo desumere che nel modello sociale attuale il maschio, che avrebbe le motivazioni per esprimere logiche istanze di rivendicazione di genere, viene ostracizzato dal genere femminile ed accusato paradossalmente di essere parte di un patriarcato che nei fatti si è rivelato inesistente.

    E’ possibile, pertanto, affermare che il modello sociale attuale sia di stampo femminista.

    * Nota: i dati statistici di hanno fonte Eurispes.


    Edited by Biodom - 24/10/2019, 15:18
     
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  2. Weebcel
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    Ciao. Ti volevo fare una domanda. Molto spesso le femministe descrivono le prime ondate del loro movimento come se fossero state composte da eroine, donne che sacrificavano loro stesse per il bene delle generazioni successive, le wonder women forti e indipendenti antipatriarcato. Però le leggi che promossero passarono tutte sotto tramite delle istituzioni che a quei tempi erano in maggioranza occupate da uomini. Questo non dovrebbe cozzare un pochino con il loro mito? Per non parlare poi del fatto che il femminismo italiano più diffuso era quello marxista, alle origini perlomeno. E poi il femminismo era un fenomeno di nicchia, cioè molte donne ora nostre madri probabilmente non sono neppure venute a contatto col femminismo e lo hanno conosciuto anni dopo.
     
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  3. Biodom
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    CITAZIONE (Weebcel @ 24/10/2019, 14:54) 
    Ciao. Ti volevo fare una domanda. Molto spesso le femministe descrivono le prime ondate del loro movimento come se fossero state composte da eroine, donne che sacrificavano loro stesse per il bene delle generazioni successive, le wonder women forti e indipendenti antipatriarcato. Però le leggi che promossero passarono tutte sotto tramite delle istituzioni che a quei tempi erano in maggioranza occupate da uomini. Questo non dovrebbe cozzare un pochino con il loro mito? Per non parlare poi del fatto che il femminismo italiano più diffuso era quello marxista, alle origini perlomeno. E poi il femminismo era un fenomeno di nicchia, cioè molte donne ora nostre madri probabilmente non sono neppure venute a contatto col femminismo e lo hanno conosciuto anni dopo.

    Ma infatti. Il punto é che se ti metti a cercare alla fine questo patriarcato non c'é. Ma basta guardare la società oggi: ti sembra patriarcale? Chiaramente non lo é, ed é un evidenza, é assurdo sostenere il contrario, questo ho voluto far emergere. Hai presente la fiaba del Re nudo? Alla fine qualcuno doveva pur gridarlo, e oggi prendiamoci noi questo incarico. O Fantozzi sulla corazzata Potemkin? Era una cagata pazzesca, fece bene a dirlo. Il patriarcato é una cagata pazzesca gridiamolo anche noi. Hanno rotto il cazzo femministe e intellettuali froci. Qui tutti vanno in culo ai maschi, ora basta. A proposito, hai letto la mia conclusione, intendo l'ultima-ultima? Perché quello va detto!
     
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  4. Weebcel
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    Si ho faticato a leggere tutto perché c'erano elenchi di donne con le relative leggi, apprezzo che tu le abbia messe li per correttezza. Comunque proprio per via della conclusione ti ho fatto quella domanda.
     
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  5. ElPuoso
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    Bella riflessione. Come hai detto tu il Re è nudo.
     
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    quello che devi capire è che le donne hanno questo mito di "liberarsi dal patriarcato" perché gli è stato ripetuto per decenni che sono oppresse (da che cosa non si capisce visto che da decenni sono libere di fare quello che vogliono)

    come gli italiani che si credono assediati dagli immigrati perché c'è capitan salvini che ripete a spron battuto che l'italia è piena di immigrati

    inoltre per loro, per la "donna media", che la politica italiana sia stata piena di donne di valore non significa un cazzo: sono egoiste e narcisiste all'ennesima potenza, se il mondo non gira tutto intorno a loro sarebbe meglio non esistesse per niente

    psiche da bambine mai cresciute
     
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  7. Biodom 2 la vendetta
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    CITAZIONE (urbandecay @ 10/2/2020, 20:42) 
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    quello che devi capire è che le donne hanno questo mito di "liberarsi dal patriarcato" perché gli è stato ripetuto per decenni che sono oppresse (da che cosa non si capisce visto che da decenni sono libere di fare quello che vogliono)

    come gli italiani che si credono assediati dagli immigrati perché c'è capitan salvini che ripete a spron battuto che l'italia è piena di immigrati

    inoltre per loro, per la "donna media", che la politica italiana sia stata piena di donne di valore non significa un cazzo: sono egoiste e narcisiste all'ennesima potenza, se il mondo non gira tutto intorno a loro sarebbe meglio non esistesse per niente

    psiche da bambine mai cresciute

    E no, un momento, calma: qua i sessi sono 2 e alle donne non é stato detto niente... da chi poi, da noi maschi? All'uomo, invece, é stato inculcato, da un sistema/pensiero di stampo femminista, che ormai detiene il controllo fattivo di tutti i gangli nevralgici statali, apparati decisionali e organi legislativi, un senso di colpa dato da una sistematica rappresentazione falsata della realtà. Questo é quanto, e questo emerge.
     
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    Ma quale patriarcato, ormai in giro vedo solo il matriarcato. Direi che una meta' delle donne convive stabilmente con lo zerbino che spreme in nome dei propri figli, l altra meta' si fa trapanare random dai chad, tenendo sempre dritte le antenne alla ricerca di zerbini, oppure sfruttano l ex marito/convivente.
     
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    CITAZIONE (Biodom 2 la vendetta @ 10/2/2020, 22:11) 
    CITAZIONE (urbandecay @ 10/2/2020, 20:42) 
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    quello che devi capire è che le donne hanno questo mito di "liberarsi dal patriarcato" perché gli è stato ripetuto per decenni che sono oppresse (da che cosa non si capisce visto che da decenni sono libere di fare quello che vogliono)

    come gli italiani che si credono assediati dagli immigrati perché c'è capitan salvini che ripete a spron battuto che l'italia è piena di immigrati

    inoltre per loro, per la "donna media", che la politica italiana sia stata piena di donne di valore non significa un cazzo: sono egoiste e narcisiste all'ennesima potenza, se il mondo non gira tutto intorno a loro sarebbe meglio non esistesse per niente

    psiche da bambine mai cresciute

    E no, un momento, calma: qua i sessi sono 2 e alle donne non é stato detto niente... da chi poi, da noi maschi? All'uomo, invece, é stato inculcato, da un sistema/pensiero di stampo femminista, che ormai detiene il controllo fattivo di tutti i gangli nevralgici statali, apparati decisionali e organi legislativi, un senso di colpa dato da una sistematica rappresentazione falsata della realtà. Questo é quanto, e questo emerge.

    se la cantano e se la suonano da sole

    sei in grado di vederlo anche tu

    inoltre se non si fosse capiot non ti satavo contestando
     
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    Incollo qui un messaggio che avevo pubblicato (riprendendolo da un commento su Facebook) in una discussione autonoma, poiché è pertinente all'oggetto di questa discussione:
    "La teoria del patriarcato non è una certezza giacché è stata elaborata da scienze epistemologicamente deboli come la sociologia e l'antropologia, ed è oltretutto nata in ambito strettamente filosofico. O meglio, ciò che è accaduto è che dei filosofi hanno esteso arbitrariamente il concetto di patriarcato familiare, che in certi contesti è palese, all'intera struttura socio-culturale, spesso confondendo la sfera del potere reale con quella dell'autorità e cadendo nella fallacia logica dell'apice e in generalizzazioni indebite.

    Qualsiasi teoria sociologica va presa con cautela, e questo vale a maggior ragione per le macroteorie,che utilizzano dati molto estesi nel tempo e nello spazio. I dati sono oggettivi, ok, ma il resto no.
    In primis bisogna decidere con che criterio raccogliere i dati, poi quali dati considerare utili e quali no, poi bisogna tessere delle interpretazioni riguardanti dei rapporti causa-effetto; il secondo e il terzo passaggio sono particolarmente problematici e possono essere influenzati da bias di conferma ideologici.
    Inoltre, se è possibile la verifica interna, cioè della coerenza delle conclusioni della teoria rispetto alle premesse, non è del tutto possibile quella esterna, cioè rispetto al mondo empirico. Sarà possibile quando avremo la possibilità di creare simulazioni al computer talmente complesse da elaborare dati così articolati nel tempo e nello spazio. Per adesso, è ancora fantascienza, ed ecco perché ci sono varie teorie per spiegare il sessismo e gli stereotipi di genere: non esiste solo quella del patriarcato, e anzi ci sono sociologi che la rigettano. Ciò non vuol dire che sia necessariamente sbagliata, né che non si possa prediligere una teoria sulle altre. Va benissimo preferire una teoria, anche quella del patriarcato, ma ciò non deve portare a considerarla una verità assoluta. Il vulnus delle femministe e dei progressisti, cioè che li rende dei "nazisti",qu
    non è quindi il sostenere la teoria del patriarcato, ma il farlo con un tono poco dubbioso, quasi di ovvietà. Non c'è nulla di lapalissiano, ragion per cui bisognerebbe sempre aggiungere un "forse" o un "secondo alcuni".
     
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    I rapporti verticali, gerarchici, sono di due tipi:
    1 - di dominio (padrone-schiavo, ufficiale-soldato, capo-segretaria)
    2 - di cura (madre-bambino,medico-paziente, docente-discente)

    I primi sono mitigati dalle leggi: il codice militare, lo statuto dei lavoratori.
    Il patriarcato può essere letto nei due modi: di dominio o di cura.
    Il patriarcato di dominio è vinto dalle leggi: il codice ha abolito ogni preminenza maschile nella famiglia, nel lavoro, nei poteri dello stato, anche se l'ambito patriarcale è limitato alla sola famiglia.

    Il patriarcato di cura, invece, è rivendicato con forza nella società e nell'attività giurisdizionale: le donne amano far pagare i loro conti all'uomo, farsi intestare la casa, gli uomini no, nè potrebbero se lo volessero.
    Il mantenimento è sentito da parte femminile come un atto socialmente dovuto, dagli uomini no, nè potrebbero goderne se volessero.

    Cosi le buone donne esigono uguaglianza e quote rosa, ma solo quando c'è da salire nella scala sociale (quote rosa in parlamento ma non nelle fonderie, nella magistratura ma non tra i pompieri, in confindustria ma non tra i muratori) quando c'è da ricevere denaro (mantenimento del coniuge e del figlio), da godere di privilegi ( l'uso della casa coniugale, godere di più tempo di cura del figlio).
    Difendono un rigido patriarcato per evitare di cedere i privilegi.
     
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  12. Biodom 2 la vendetta
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    CITAZIONE (Deusfur @ 27/2/2020, 04:03) 
    I rapporti verticali, gerarchici, sono di due tipi:
    1 - di dominio (padrone-schiavo, ufficiale-soldato, capo-segretaria)
    2 - di cura (madre-bambino,medico-paziente, docente-discente)

    I primi sono mitigati dalle leggi: il codice militare, lo statuto dei lavoratori.
    Il patriarcato può essere letto nei due modi: di dominio o di cura.
    Il patriarcato di dominio è vinto dalle leggi: il codice ha abolito ogni preminenza maschile nella famiglia, nel lavoro, nei poteri dello stato, anche se l'ambito patriarcale è limitato alla sola famiglia.

    Il patriarcato di cura, invece, è rivendicato con forza nella società e nell'attività giurisdizionale: le donne amano far pagare i loro conti all'uomo, farsi intestare la casa, gli uomini no, nè potrebbero se lo volessero.
    Il mantenimento è sentito da parte femminile come un atto socialmente dovuto, dagli uomini no, nè potrebbero goderne se volessero.

    Cosi le buone donne esigono uguaglianza e quote rosa, ma solo quando c'è da salire nella scala sociale (quote rosa in parlamento ma non nelle fonderie, nella magistratura ma non tra i pompieri, in confindustria ma non tra i muratori) quando c'è da ricevere denaro (mantenimento del coniuge e del figlio), da godere di privilegi ( l'uso della casa coniugale, godere di più tempo di cura del figlio).
    Difendono un rigido patriarcato per evitare di cedere i privilegi.

    Io continuo a vedere un matriarcato mascherato, soprattutto quando il sistema educativo infantile è in grande maggioranza gestito da donne (in casa e negli asili e scuole elementari, dove le insegnanti/indottrinanti sono 8 su 10 femmine). Al maschio va inculcato un senso di colpa sin da piccolo, un condizionamento continuo, un imprinting che giustifichi lo stato attuale, gli si mette dentro un senso di colpa tale che basta tirare le giuste corde e da adulto risponde come un burattino. Anche le resistenze mentali che abbiamo nel riconoscere che questa storia del patriarcato è tutta una puttanata (dati alla mano), secondo me è frutto di tutta l'educazione ricevuta e il bombardamento di non-notizie e falsa informazione in cui viviamo immersi da sempre.
    Anche per questo io trovo (nel mio modello) indispensabili le unità di pubblica crescita, perché considero la cellula familiare causa di uno squilibrio educativo che si manifesta in un’educazione ideologizzata della prole, di stampo femminista, perché – di fatto – delegata maggiormente, e per fattori culturali e pratici, al ruolo di genere femminile, e il sistema scolastico infantile altrettanto ideologizzato.
     
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  13. Biodom 2 la vendetta
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    Quello che voglio dire Deusfur è che il patriarcato (se mai c'è stato), è morto e sepolto con la nascita della Repubblica, e interrogarsi seriamente, oggi, sulla questione patriarcale quando viviamo in un contesto di femminsmo estremo, non è solo ridicolo ma pone domande sulla sanità mentale e la buona fede di chi lo fa (e mi riferisco alle femministe e loro sostenitori/sostenitrici).
     
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    Uomo burbero e violento. Donna passiva e comprensiva. Casa Patria Famiglia

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    Allora a volte c'è il patriarcato a volte il matriarcato, spesso insieme perché l'egoismo trova sempre un sistema che lo sorregge. C'è anche la dittatura militare del libero mercato delle cose e delle persone
     
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  15. Biodom 2 la vendetta
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    CITAZIONE (Capitan Albero Bello @ 27/2/2020, 10:28) 
    Allora a volte c'è il patriarcato a volte il matriarcato, spesso insieme perché l'egoismo trova sempre un sistema che lo sorregge. C'è anche la dittatura militare del libero mercato delle cose e delle persone

    Io patriarcato non ne vedo, francamente e con tutta la buona volontà. Rilevo, però, una legiferazione in favore del genere femminile e una condizione di vita migliore, e sono dati rilevabili e fruibili da chiunque. Allora il punto è: o prendiamo atto che il patriarcato, oggi, è uno sproloquio degno degli avvinazzati, comprendendo che l'Italia è uno stato con milioni di persone e non un condomino e, come tutti gli stati, ha un problema di violenza in genere e non di genere (violenza che è argomento gemello e inscindibile nella bocca dei pazzi che, a tutt'oggi, parlano di società patriarcale riferendosi all'Italia), violenza da condannare senza dubbio, ma scevra da matrice sessuale in quanto tale, oppure ci si unisce al codazzo di rincoglioniti, si accetta un'informazione disinformante (problema questo,si, grave e tutto italiano, basti pensare a come "l'informazione" sta gestendo attualmente le notizie sul coronavirus, sembra che stiamo in piena apocalisse zombie, e il conseguente panico, immotivato, che sta generando nella popolazione), e si recita, lobotomizzati, lo stesso rosario. Io non lo accetto e apostrofo, chi parla oggi di patriarcato, per quello che è: pazzo.
     
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