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Jeans
Nel febbraio del 1999 una sentenza della Corte di Cassazione in un processo per stupro suscitò un tale scandalo da riempire per settimane le pagine dei quotidiani, i telegiornali, i talk show e da superare i confini del Paese
diventando nota in tutto il mondo. Con la campagna che ne derivò l’Italia si
fece conoscere come il paese nel quale “una donna in jeans può essere stuprata” ed i maschi italiani come un branco di cabrones che hanno libertà di
stupro.
Il Sig. P., un istruttore di scuola guida, si era appartato in luogo non del
tutto isolato ed aveva avuto un rapporto con l’allieva che non si era tolta
completamente i jeans che indossava. La donna aveva poi elevato nei suoi
confronti accusa di stupro. La condanna subita in Appello veniva ora cassata dalla Corte sulla base della considerazione che il denudamento parziale
della donna, in sé e per sé e date le circostanze, faceva dubitare che fosse
stata forzata anche considerando che è quasi impossibile sfilare ad una persona quel tipo di indumento senza la sua attiva collaborazione dal momento
che l’operazione è già impegnativa per chi lo indossa. Quanto al movente
della denuncia, la Corte rilevò che la donna aveva interesse ad alterare la
versione dei fatti, quello di giustificare il rapporto intrattenuto con un uomo
sposato nella preoccupazione per le sue possibili conseguenze, risultando
poi senza spiegazione il fatto che, dopo l’ipotizzata violenza, la donna si
fosse posta tranquillamente alla guida dell’auto. Con queste motivazioni la
sentenza fu rimessa alla Corte d’Appello che nel settembre successivo condannava l’imputato. Da queste argomentazioni l’intero Paese ricavò il seguente principio: la magistratura afferma che una donna in jeans non può
essere costretta al rapporto e che quindi, simmetricamente, se li indossa, la
si può stuprare. “Jeans alibi per lo stupro” recitavano l’indomani i cartelli
esposti da alcune deputate capitanate da Alessandra Mussolini che con
l’occasione sdoganò definitivamente a Destra il femminismo.58 Senza occuparci di stabilire se quell’uomo fosse davvero innocente, ma semplice-
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mente se lo potesse essere, seguiamo la rete dei presupposti e delle conseguenze di quello straordinario evento cui abbiamo assistito stupefatti ed
increduli.
Un primo motivo di incredulità nasce dal fatto che, apparentemente,
quei giudici devono aver finto di non sapere quel che ognuno di noi sa e
cioè che ogni donna può essere violata a prescindere non solo dagli indumenti che indossa ma da qualsiasi altra condizione, stato o situazione in cui
si trovi. In verità ciò vale anche per gli uomini, anche un maschio infatti
può essere violato, comunque sia vestito, è impossibile che i giudici non lo
sappiano. A maggior ragione restiamo increduli quando pensiamo che quella sentenza proviene da una magistratura non priva di ombre maschiliste,
evidentemente, ma pur sempre capace di giudicare condannabile a sette anni un uomo che abbia tentato di baciare una collega, quella magistratura
che già ha assimilato le “insistenti richieste” del marito a tentata violenza
carnale ed ai maltrattamenti in famiglia. Quella magistratura che condanna
per oltraggio l’uomo che getta a terra le camicie stirate e che ha da poco
iniziato a condannare i maschi che alzano la voce dentro casa e quelli che
non fanno le coccole alla moglie incinta. Quella magistratura che assegna i
figli alle madri nove volte su dieci e che non se la sente di condannare la
madre infanticida in quanto in quel momento “incapace di intendere e di
volere”, condizione psicologica che l’omicidio stesso comprova. E’ la stessa magistratura che condanna a quattordici anni per omicidio un marito che
ha contagiato la moglie di Aids ma si guarda dal procedere contro la prostituta che ne contagia centinaia.59 Come è possibile che questa magistratura,
le cui sentenze contro i maschi imputati sono tenute sotto controllo capillare dalla vigile attenzione dei Comitati Pari Opportunità, dai Movimenti
Femministi e da tutte le donne informate, si sia spinta a sentenziare che una
donna in jeans non possa essere violata è cosa che lascia stupefatti.60
Ma ciò che indignò fu l’assoluzione. Dalla sentenza della Cassazione si
poteva intravedere la quasi sicura assoluzione dell’imputato, ma poteva egli
essere innocente? Capitali sono qui due convinzioni comuni. La prima si
riferisce al fatto che, pur non conoscendone le proporzioni, si sa che solo
una parte degli stupri viene denunciata, e che perciò, laddove e quando denuncia vi sia, il fatto è sicuramente accaduto. La seconda si fonda sulla
considerazione che la donna non può avere alcun interesse a raccontare una
cosa per un’altra, a mentire rovinando un uomo. Queste due verità contenute nella GNF sono diventate certezza universale sulla cui base la conclusione è inevitabile: non sarebbe stato denunciato se non fosse stato colpevole.
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Ora, nessuno di noi può tollerare che un colpevole sia assolto, meno che
mai per simili delitti, oltraggio alle donne e vergogna per gli uomini. Per
questo esplose l’indignazione, perché era stata dichiarata un’innocenza inesistente mentre tutti sapevamo che egli era colpevole.
Questa presunzione di colpevolezza è la ragione per la quale vennero
ascoltati con fastidio coloro (rarissimi) che con i ‘se’ ed i ‘ma’ e con una
stucchevole analisi dei dettagli tendevano a difendere il “colpevole” come
se avesse potuto essere innocente mentre non poteva esserlo e da questa
certezza nacque l’universale indignazione. Se si fosse ammesso che egli
poteva essere innocente tutto l’atteggiamento di fronte alla sentenza sarebbe cambiato e non vi sarebbe stato alcuno sdegno. In questa seconda ipotesi
ogni dettaglio sarebbe diventato importante, in questo processo come in
ogni altro, dove anche il più piccolo particolare può essere decisivo in
quanto confermi o smentisca l’accusa. Anche in processi per delitti più
gravi, quali l’omicidio o la strage, un dettaglio è decisivo, è così sempre e
nessuno se ne stupisce. Un processo è un confronto ed una scelta tra due
opposte versioni e come soppesarle se non attraverso la ricerca di fatti, eventi, cose, elementi che confermino l’una a danno dell’altra?
Presumere che l’uomo sia innocente significherebbe però assumere che
la donna sia colpevole di calunnia e questo coincide con quel procedimento
sempre denunciato che consiste nel “blaming the victim”, nell’accusare e
colpevolizzare la vittima anziché il colpevole, la violentata anziché il suo
violentatore. Così, con l’assegnare alla donna il titolo di vittima prima del
processo si condanna l’imputato prima della sentenza come se già si sapesse che stupro vi fu e questa è appunto l’indicibile verità dalla quale si parte:
la donna diventa vittima (violentata) elevando l’accusa e perciò nello stesso
istante l’accusato diventa colpevole. Su queste basi, come potrebbe mai
esistere una falsa accusa di stupro?
Ci si chiede poi per quale motivo una donna dovrebbe accusare falsamente un uomo di un simile crimine e non si sa come rispondere, giacché
la ragione più semplice, il fatto che anche le donne sono cattive, è tabù.
“Perché mai una donna dovrebbe denunciare falsamente un uomo?” si
chiedeva un commentatore di “Repubblica” in quei caldi giorni del febbraio 1999, apparentemente non senza ragione. Denunciando lo stupro infatti la donna va incontro, se non al disonore come una volta, almeno alla
commiserazione, un atto autolesionista insomma. L’unica spiegazione sensata consisterebbe nella volontà femminile di nuocere gratuitamente, una
volontà così potente da passar sopra persino agli svantaggi cui essa stessa
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va incontro, prospettiva inconcepibile che perciò costituisce una buona ragione per presumere l’accusa fondata ed il maschio colpevole. Questa presunzione è inespressa perché indicibile ed è indicibile perché la conseguenza inevitabile è che i processi per stupro diventano un puro formalismo con
il quale si finge di giudicare colui che di fatto è sicuramente colpevole, il
che equivale a dire che non possono esistere false accuse di stupro e che ad
ogni accusa deve seguire una condanna.
Quei giudici invece, ingenui e fuori del tempo, partirono dall’antico
presupposto che l’imputato potesse essere innocente e giudicarono quel caso particolare in quel contesto particolare alla luce del quale quei dettagli
potevano avere rilievo. Se si ammette che possa esistere una falsa accusa,
ogni sentenza (si tratti di maltrattamento, molestie o stupro) si baserà necessariamente su alcuni elementi che saranno cose, azioni, parole o altro, a
riprova che nel racconto della donna vi sono contraddizioni, incongruenze,
inverosimiglianze. Quale che sia, sempre vi sarà almeno un elemento che
verrà assunto come prova dell’inconsistenza della tesi accusatoria, ma, si
tratti dell’ora, del luogo, dell’abbigliamento, delle condizioni meteo, o di
quel che si vuole, chi può dar peso ai dettagli nel caso di processi per stupro? Assolto sulla base di un particolare quello stesso potrà diventare oggetto di un nuovo slogan: “Occhiali, abili per lo stupro”, “Pioggia, alibi per
lo stupro”, “Mezzogiorno, alibi per lo stupro” e poiché è chiaro che non
esistono alibi per lo stupro non possono esistere dettagli, particolari o prove
di innocenza di nessun tipo.
La sentenza scandalizzò perché si sapeva già che l’uomo era colpevole
e da questa pre-conoscenza deriva inevitabilmente che ad ogni accusa deve
seguire una condanna trasformando così i processi per stupro in una maschera, una finzione destinata a salvare le apparenze, verità tremenda che
nessuno vuole vedere nel mondo in cui vive. Siamo tutti liberali, ora, e vogliamo che sia l’accusa a provare la colpevolezza e non l’accusato a provare la sua innocenza, persino in questi casi.
Se però i giudici ed i collegi giudicanti fossero composti in maggioranza da donne una sentenza di assoluzione non scandalizzerebbe nessuno, se
sono le donne a giudicare gli uomini allora esse possono assolverli senza
che vi sia ragione di sospettare alcuna autoassoluzione del genere maschile.
Questa ipotesi sembra così ragionevole che alcuni mascolinisti auspicano la
femminilizzazione totale della magistratura61 in modo tale che, trovandosi
un giudice donna, un accusato abbia una qualche probabilità di essere assolto. Essi sono confortati in questa opinione dai dati sugli affidamenti dei
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figli da cui risulta che le donne giudici sono (un po’) più inclini ad affidare
i figli ai padri di quanto lo siano i giudici maschi; sembra insomma che se
gli uomini vogliono giustizia questa possa venire solo dalle donne perché
solo esse sono autorizzate ad assolvere un innocente, anzi, sono autorizzate
a mandar libero persino un colpevole perché la decisione sarà giudicata
frutto di un errore e non della “Cultura dello stupro”.
Quella straordinaria e stupefacente campagna di criminalizzazione e
colpevolizzazione del genere maschile ha avuto i suoi effetti, quelli cui mira l’universale male-bashing. Lo sdegno e lo scandalo furono universali e
non mancò chi, come Oliviero Toscani, dichiarasse: “Mi vergogno di essere nato maschio”. Un famoso giornalista ne trasse motivo per affermare in
Tv che il diritto delle donne a “dire di no” rimane intatto anche dopo aver
portato un uomo a letto ed averlo perfettamente eccitato, dichiarazione sulla quale torneremo. Tre giorni dopo il Capo del Governo, Massimo
D’Alema, promise, come parziale riparazione, l’accoglimento della richiesta femminista delle quote assembleari nella nuova Costituzione, operazione condotta puntualmente a termine da tutt’altra maggioranza parlamentare. Il pestaggio morale non è senza frutti.. -
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Credo che il fatto sia iconico ormai.
Discutere del "se fosse o meno così" è un errore di direzione e polemica inutile, piuttosto bisognerebbe discutere di come mai un movimento improntato sulla liberazione dai preconcetti sia finito per colpevolizzare il maschio per preconcetti.. -
Golgomath.
User deleted
Una distorsione della legge assurda. Partendo dal presupposto che in Costituzione si dice espressamente "nessuno è colpevole sino alla condanna definitiva", ciò che hai postato dimostra come le persone siano emotive e non razionali.
Io non dimentico i due pesi tra il caso di Lucia Annibali e Gessica Notaro. Entrambe sfregiate dai loro ex, hanno avuto la GIUSTA riparazione per un atto di estrema crudeltà. I corrispettivi maschili no: uno ha avuto parziale soddisfazione ma solo perché c'era un altro uomo. L'altro(William Pezzullo) non solo non ha avuto risarcimenti: la sua ex non ha fatto un giorno di galera.
Interessante poi il caso di quei vigili che sono morti per l'esplosione provocata dai coniugi: ebbene il marito è stato subito arrestato e messo in carcere. La moglie no, anche se è accusata di concorso in omicidio. Vorrei proprio sapere cosa ne pensa cimdrp o Barbiexanax(note youtuber femministe di questa faccenda)..