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I movimenti maschili in Italia. Limitando la nostra indagine ai movimenti maschili presenti nel nostro paese, possiamo intanto tracciare una prima ripartizione con la precisazione che si basa sul criterio primario del significato attribuito alla Questione Maschile. (5) 1. Progressisti. I gruppi che considerano la crisi maschile come salutare in quanto indotta dal tramonto del patriarcato, concepito come struttura psico-socioculturale modellata sul genere maschile, messo pesantemente in crisi dal nuovo protagonismo femminile. 2. Antifemministi. Sono quei movimenti che si propongono in primo luogo di contrastare il femminismo nei suoi diversi filoni, in quanto ritenuto responsabile della devirilizzazione degli uomini. In quanto vincente sul piano culturale, il femminismo è all’origine anche della crisi sociale e culturale delle società occidentali. 3. Liberali. Quelli per i quali la crisi del maschio è dovuta, essenzialmente, ad una evoluzione in senso pro-female del diritto e delle leggi che, nell’intento di superare le antiche discriminazioni contro le donne, hanno finito per disegnare un sessismo alla rovescia in cui il gruppo discriminato è divenuto quello maschile. 4. Radicali. Purtroppo in Italia ormai il termine “radicale” tende ad identificarsi col partitino laicista di Pannella, ma qui è inteso nel suo significato originario di “coloro che cercano di andare alle radici”. Questa quarta area riunisce, con forti differenze interne, tutti coloro che ritengono essere la crisi del maschile tanto reale quanto disastrosa, per gli uomini ma non solo. Rispetto all'area precedente non si disconosce lo squilibrio a livello giuridico che colpisce il mondo maschile e la necessità di leggi davvero paritarie. Si considerano però questi problemi come non originari ma derivanti da fattori di ordine socioculturale sui quali, peraltro, non c’è identità di vedute.
Vediamo ora in dettaglio le varie aree del movimento.
I PROGRESSISTI. In questa accezione, la crisi maschile nasce dalla perdita dell’antico potere sull’altro sesso, ed avrebbe come effetto primario quello di un rigurgito revanscista manifestantesi come recrudescenza di violenza contro le donne di cui non si accetterebbe la nuova autonomia psichica e sociale. Da notare l’analogia di questo schema interpretativo con quello utilizzato da Stalin nella Russia sovietica, quando sosteneva la tesi che proprio a causa dell’avanzare trionfale del socialismo, le classi spodestate avrebbero reagito sempre più violentemente nel tentativo disperato e inutile perché antistorico, di riconquistare il potere perduto. Più pacificamente, i teorici del rigurgito dovuto al tramonto del patriarcato, si accontentano di agire sul piano culturale e giuridico. Forti di un potere mediatico e culturale schierato per motivi diversi dalla loro parte o nella migliore delle ipotesi paralizzato nel dissentire dal mainstream, promuovono campagne di informazioni fondate sul presupposto che violenza ed oppressione, poiché in sé maschili (o meglio del maschio bianco adulto), colpiscano esclusivamente le donne. Di fronte a fenomeni di segno opposto si preferisce glissare, attribuendoli o ad una reazione per torti storici e personali, o comunque come il frutto dell’assunzione da parte delle donne dei canoni culturali maschili e patriarcali. Sul piano legislativo appoggiano tutte quelle leggi che, partendo dai presupposti prima enunciati, si ripromettono di annullare lo squilibrio fra i sessi. Così per le quote rosa, così, ad esempio, per la legge spagnola sulla “violenza di genere” che amplifica le pene quando un reato di violenza è compiuto da un uomo, o infine per la legge sullo stalking la quale, forse oltre le intenzioni, finisce per rovesciare l’onere della prova sull’accusato e, considerando prova sufficiente la parola della vittima, annulla di fatto un cardine dello stato di diritto quale la ricerca, per quanto possibile, della verità basata su fatti oggettivamente verificabili. A questo filone culturale, si riferiscono quei movimenti per i quali la crisi del maschio è la benvenuta in quanto coincide con la crisi dell’ordine simbolico patriarcale ed apre la strada verso una maggiore libertà per tutti. I maschi dovrebbero rinunciare definitivamente alla loro identità tradizionale fondata sulla competizione e sul dominio del più forte, per riscoprire, semplifico, la propria parte femminile, inclusiva, antigerarchica, non violenta. Si tratta dunque di inventarsi una identità del tutto nuova, e finora mai esplorata. Politicamente questi gruppi si collocano genericamente a sinistra. Più in particolare in quella sinistra genericamente progressista di stampo liberal che superata la concezione marxista della storia come lotta fra classi dominanti e subalterne, finisce in realtà per accettarla metodologicamente semplicemente sostituendo le classi coi sessi(6). GLI ANTIFEMMINISTI. Come si può leggere sul manifesto della rivista on line Antifeminist (7) , che possiamo classificare come il principale sito d’area, il primo posto del programma, sia nella parte destruens sia in quella construens, è occupato dall’obbiettivo di contrapporsi ai movimenti femministi. Soltanto dopo ci si rivolge agli uomini, ma anche in questo caso in primo luogo per metterli in guardia contro le trappole loro tese (ad esempio il matrimonio). Le priorità sono così chiaramente delineate, nel senso che la promozione di modelli maschili forti e validi, nonché il richiamo a l’indipendenza emotiva dalle femmine, che pure sono obbiettivi dichiarati, appaiono subordinati a quello principale. I gruppi d’area antifemminista, in effetti, sono movimenti militanti, simmetrici alla controparte femminista, che alle analisi culturali antepongono la lotta: Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur potrebbe essere il loro motto. È questo, a mio avviso, un limite dell’area di cui stiamo parlando, ma proprio per questa loro caratteristica svolgono una funzione utile come primo collettore del disagio maschile, ed anche e soprattutto come instancabili raccoglitori di notizie di cronaca, di leggi, di sentenze, di accadimenti in ogni parte del mondo che offrono, commentate, ai lettori. Altro elemento da sottolineare è che i movimenti appartenenti a quest’area stanno tentando di darsi una forma di coordinamento internazionale, per ora allo stato nascente, di cui sono stati momenti importanti due convegni svoltisi entrambi in Svizzera nel 2010 e nel 2011.
I LIBERALI. Questo filone accetta la definizione di società patriarcale e la necessità storica del suo tramonto, ma ritiene che non ci sarebbe una vera e propria crisi d’identità maschile. Poco attenti alle questioni di ordine simbolico e antropologico, nonché al problema della differenza/uguaglianza ontologica fra maschile e femminile, i sostenitori di questa tesi si propongono di agire essenzialmente sul piano giuridico perorando una piena uguaglianza formale e sostanziale fra donne e uomini. Questa corrente, almeno in Italia fra le prime ad aver sollevato la QM, si rifà ad una tradizione culturale di tipo liberale. Suo esponente di spicco è Marco Faraci, fondatore del sito Pari diritti per gli uomini, ma ad essa fanno capo anche altri blogger indipendenti. Un cenno a parte meritano i siti espressione delle varie associazioni dei padri separati. Come emersione di un fenomeno tangibile e ormai diventato emergenza sociale riconosciuta, queste associazioni, numerose e talvolta in reciproca polemica, sono da considerare parte integrante nella più generale Questione Maschile, sebbene al loro interno si stenti spesso a prendere atto che la tragedia dei padri separati non origini solo dalle leggi o dalla loro applicazione da parte della magistratura, ma sia parte di una questione culturale di amplissima portata.
I RADICALI. Dei movimenti che abbiamo chiamato “radicali” per il modo con cui affrontano la questione, ne presentiamo i tre più rappresentativi. L'approccio neomarxista: Uomini Beta. Fondato nel 2009 da Fabrizio Marchi, giornalista free-lance romano ed autore del libro Donne, una rivoluzione mai nata (8), Uomini Beta è un movimento maschile dichiaratamente collocato, sul piano culturale, a sinistra. Sul piano politico, invece, Uomini Beta non si riconosce in particolare in nessuna delle attuali formazioni, che anzi critica pesantemente. Uomini Beta su base rigorosamente laica, individua la causa principale della crisi maschile nella trasformazione economica capitalistica. Come vedremo, è uno schema interpretativo che si rifà all’essenza dell’analisi marxista delle classi e della loro dinamica conflittuale, introducendovi però una importante variabile di genere. Per i suoi sostenitori, la vera soluzione del conflitto maschile femminile in una sostanziale parità e reciprocità, sarebbe in ultima analisi possibile solo in una società senza classi. Premesso realisticamente che non è mai esistito fino ad oggi un sistema capace di superare nei fatti la contraddizione fra ceti dominanti e dominati e di “costruire una società realmente nuova, fatta di uomini e donne realmente liberi/e ed eguali” (9) , il capitalismo è un sistema sociale ed economico “sostanzialmente dominato dalla ragione strumentale ed utilitaristica e dal dominio assoluto del mercato e della sua ideologia” che in termini concreti significa mercificazione di ogni rapporto umano, proprio a partire dalla sessualità, forza potente della natura “che è stata ridotta dal sistema capitalistico attuale a due concetti fondamentali: merce e consumo”. Non che la repressione sessuale sia fenomeno nuovo. Anche in passato la sessualità “è stata pesantemente condizionata dalle religioni organizzate e dalle loro istituzioni nonché da una montagna di precetti e pseudo costruzioni moralistiche.” La differenza è che oggi le antiche forme di organizzazione sociale e politica fondate su un mix di rapporti di forza e costrizioni moralistico/religiose, sono divenute “inadeguate a governare e a gestire società complesse come quelle capitalistiche occidentali (e non solo occidentali ormai …) contemporanee le quali, per sopravvivere e autoalimentarsi, hanno bisogno di meccanismi sociali, culturali e psicologici estremamente più complessi del semplice esercizio della forza che strutturalmente non può essere sufficiente a promuovere e mobilitare forze e risorse produttive, sia in termini quantitativi che soprattutto qualitativi, necessarie ad alimentare l’intero sistema.” Da qui il non casuale indebolimento del vecchio sistema, “sostituito con quello dell’ideologia della mercificazione totale dei corpi e delle anime degli individui.” Nel processo di mercificazione totalizzante, un ruolo specifico è stato assegnato alle donne, o meglio al femminismo, movimento nato con l’intenzione di trasformare radicalmente la società ma che invece, assumendone come propri i fondamenti, “ha finito per diventare lo strumento privilegiato proprio di quel sistema che avrebbe dovuto combattere […] Le donne, che sembrava dovessero rappresentare il soggetto di una trasformazione sociale e culturale epocale, hanno finito col diventare, nella loro grande maggioranza, uno strumento attivo e spesso consapevole del sistema, facendo proprie le logiche strumentali di cui è portatore, diventandone complici e ricavandosi uno spazio di potere al suo interno, [...] anche se, ovviamente, con differenti ruoli e livelli di responsabilità.” Hanno cioè accettato “di essere ridotte ma in larga parte di autoridursi a merce, non solo dal punto di vista pratico ma soprattutto da quello psicologico, cioè del loro modo di essere, di vivere e di concepirsi all’interno della relazione con l’altro genere. Questa scelta è stata profumatamente pagata dal sistema dominante che ha avuto e ha un grande bisogno di loro. Le donne insomma sono state promosse, hanno acquistato uno spazio notevolissimo all’interno della complessa struttura gerarchica della piramide sociale senza però metterne in discussione le fondamenta che anzi, oggi, grazie al loro contributo, sono ancora più solide rispetto al passato.” Il motivo di tale promozione del genere femminile appare semplice. “La sessualità femminile costituisce da sempre un fattore straordinariamente potente di incentivazione per gli uomini; una spinta nei confronti della quale, specie per gli uomini in giovane età, è praticamente impossibile opporre resistenza. Attribuendogli un valore di mercato e un valore d’uso (e di scambio) e rendendola conseguentemente accessibile solamente a coloro che sono in grado di esserne fruitori, viene così a costituire uno strumento formidabile e ineguagliabile al fine di alimentare il sistema stesso non solo dal punto di vista economico ma anche da quello culturale e psicologico; tutti aspetti intimamente connessi e non separabili nei moderni sistemi sociali.” La maggior parte delle donne, beninteso, rimane subalterna alle élite dei cosiddetti maschi dominanti (i maschi alpha) “che sono al vertice della catena di comando insieme alle nuove élite femminili, ma per contro hanno acquistato, o meglio, è stato loro conferito, un ruolo dominante sul resto della popolazione maschile (i maschi beta) che si trova a sua volta in una posizione di subalternità e subordinazione non solo nei confronti delle élite dominanti, maschili e femminili, ma anche nei confronti della grande maggioranza delle donne che sono forti del peso specifico rappresentato dalla loro sessualità e dal valore di mercato a questa attribuito.” Ne risulta che questi ultimi sono oggi il gruppo sociale veramente oppresso, il nuovo proletariato della società del mercato totale, perché privi di ogni potere contrattuale e, differentemente dalle donne, “senza alcun peso specifico, da mettere sulla bilancia. Nel corso di questi ultimi decenni gli uomini beta sono stati martellati senza sosta dal punto di vista psicologico e culturale, le loro identità di uomini sono state distrutte con una raffinatissima tecnica di manipolazione psicologica e mediatica fino a farli addirittura sentire colpevoli di essere nati uomini. “Completamente inermi e devastati sotto ogni punto di vista, non è rimasto loro che cercare di adeguarsi ad una realtà che considerano immutabile e scimmiottare i modelli maschili dominanti, senza averne però le possibilità e gli strumenti […] in una recita disperata con la quale cercano faticosamente di conquistarsi un piccolo spazio e di essere socialmente e umanamente accettati, soprattutto dall’altro sesso.” Per cambiare questo stato di cose ed accedere ad una vera uguaglianza nella libertà e nel reciproco rispetto e riconoscimento dell’altro, gli uomini beta, la stragrande maggioranza, devono “rivisitare completamente la propria maschilità all’interno dei profondi cambiamenti avvenuti e, sulla base di questo, rivedere completamente il proprio atteggiamento nei confronti del genere femminile.” Rifiutare cioè falsi atteggiamenti da machi, non sentirsi in dovere di essere loro a proporsi sempre e comunque, “e di recitare copioni preconfezionati […]” Essere cioè se stessi in ogni circostanza, anche con le proprie fragilità, “senza finzioni o recite di sorta, con la massima disinvoltura e senza MAI tradire la propria indole, la propria dignità e la propria libertà.” Se oggi l’identità maschile è in crisi, occorre allora rifiutare tutto un sistema che induce gli uomini a credere di essere veramente tali “solo se si ha un determinato reddito, se si occupa una determinata posizione all’interno del contesto sociale e se si compare sugli schermi di questo o quel network televisivo.” Questa, per Uomini Beta, l’essenza della questione maschile per come oggi si pone e che ingloba in sé anche la questione paterna, vista come parte importante della prima ma non interamente sovrapponibile ad essa. Nell’ottica di questo movimento, in coerenza con i suoi motivi ispiratori, non interessa tanto capire l’origine naturale o culturale delle differenze fra i sessi, anche perché i due fattori sono tanto intrecciati da essere inestricabili, quanto promuovere il mutamento secondo i principi della filosofia della prassi. Analogamente, anche il dibattito sui temi della bioetica (aborto, fecondazione artificiale etc.), viene considerato non tanto per l’importanza che riveste in sé dal punto di vista antropologico e per le possibili ripercussioni sul concetto stesso di maschile e femminile, quanto piuttosto dal punto di vista di un necessario riequilibrio di poteri fra uomini e donne in un’ottica di reciprocità all’interno della concezione pro-choise. L'approccio decostruttivista transpolitico: Uomini 3000. È questa la definizione data dallo stesso Rino Barnart10, da me interpellato, dell’approccio con il quale ha fondato movimento Uomini 3000. Decostruttivista perché si propone di disvelare l’ideologia sottesa al modo con cui il rapporto maschile/femminile viene raccontato, ma anche, più in generale, ogni narrazione del mondo. Transpolitica perché se ogni narrazione è ideologica, anche ogni espressione politica lo è necessariamente. Per Barnart la questione maschile si pone nel momento in cui si è rotto il mutuo patto di scambio che ha sempre contrassegnato la relazione maschile/femminile. Da una parte gli uomini che cercano nella donna “sesso e cura”, dall’altro le donne che chiedono all’uomo “protezione e mantenimento”. Il patto si è rotto concretamente con l’avvento della Società Industriale Avanzata (SIA) perché solo quest’ultima ne ha svelato la natura non simmetrica, fondata su un baratto ineguale: “benefici solo materiali (protezione e mantenimento) contro benefici sia materiali (cura) che psicologici (psicoemotivi: orgasmo). Benefici acquisibili anche senza relazioni con l’altro (protezione e mantenimento) o impossibili da ottenere autonomamente (attività sessuale). Libertà potenziale (ora fattuale) per F contro di pendenza sistematica e ineliminabile per M.”11 La SIA, consentendo l’emancipazione femminile dalla dipendenza materiale dal maschio ha frantumato uno dei termini della relazione lasciando intatto l’altro, per sua stessa natura immodificabile. “Di qui la supremazia strutturale del Genere F. Si tratta di un fatto fondante che potrebbe durare sino a quando esisterà la SIA nei suoi diversi stadi di sviluppo. Stadi che, prospetticamente, lasciano intravedere come certo l’avvento di una società nella quale le attività di polarità maschili (comportanti fatiche, usura, rischi, sporcizia) saranno ridotte a frazioni minimali e infine del tutto eliminate dalla robotizzazione del lavoro. Società dunque in cui tutte le attività produttrici di reddito potranno essere svolte dalle DD. Nel suo sviluppo la SIA ha poi aperto la possibilità dell’autoriproduzione femminile, prima a mezzo della fecondazione assistita (fatto reale) e poi con la clonazione (prospettiva imminente). Due eventi dirompenti sul piano simbolico in quanto escludono il maschio e l’intero Genere anche dalla funzione riproduttiva. La femmina si mantiene e si riproduce da sola: l’inutilità maschile è conclamata. La distruzione strutturale del valore maschile sembra compiuta.” Viene quindi introdotto nell’analisi della questione maschile il fattore tecnico, che però non basta, da solo, a spiegare la nuova realtà sociale. In stretto connubio con la tecnica, che ne costituisce la premessa e la possibilità, è tutta la società che si va femminilizzando. La SIA,e qui i punti di contatto con la tesi illustrata in precedenza sono evidenti, “si fonda infatti sull’espansione del ciclo produzione-consumo-produzione, e quindi sul consumismo (shopping), sulla creazione (per l’immediata soddisfazione) di nuovi e crescenti bisogni (capricci/mode). Il progresso tecnico aumenta poi senza fine il numero e l’estensione applicativa delle facilitazioni/semplificazioni (le “comodità”), degli automatismi, delle sicurezze etc.” tutti elementi tradizionalmente più consoni e congrui con le caratteristiche e la psiche femminili che col maschile. Tuttavia non si può parlare, come sembrerebbe da quanto esposto finora, di una concezione meramente deterministica dettata da fattori puramente materiali. Così fosse la storia sa “prescritta, ogni azione mirante a orientarne il corso sarebbe assurda, la responsabilità individuale e collettiva svanirebbe ed il valore dei fattori culturali sarebbe nullo. Così non è, perché in realtà tutte le relazioni sociali si collocano in una zona intermedia tra la dimensione materiale e quella immateriale (culturale in senso ampio) […] Nel rapporto tra i sessi poi, i fattori psicoemotivi hanno un peso ancora maggiore che nelle altre relazioni (e in quello genitori-figli essi sono decisivi).” Esiste quindi uno spazio di movimento e di azione sul piano culturale in senso lato, quello stesso spazio l’occupazione indisturbata del quale ha consentito al femminismo di riscrivere la storia secondo i propri canoni. Barnart definisce questo processo come la Grande Narrazione Femminista12, che nella coscienza collettiva ha azzerato il valore degli uomini caricandoli della colpa inestinguibile … di essere maschi. Infatti la GNF mira a individuare in tutta la storia , in tutti i fatti che sono accaduti e accadono, un elemento unificante che tutto lega e collega sul piano collettivo ma anche su quello individuale. Tale elemento unificante si chiama “società patriarcale”, ai cui valori deve essere ricondotto non solo ogni singolo atto come materializzazione di un principio, ma anche ogni individuo il cui valore viene così messo in discussione da una colpa storica, “l’universale usurpazione maschile”13 di cui, in quanto maschio, è portatore. Quello spazio psicoemotivo che è stato conquistato dalla GNF è definito, per contrasto alla Noosfera14, come Etosfera15, il luogo del bene e del male, o meglio in cui si decide cosa è bene e cosa è male in funzione però non di uno sforzo verso la ricerca della verità oggettiva possibile, bensì di utilità per la propria causa. Due appaiono dunque essere i fattori principali della crisi maschile. Da un lato la tecnica che sta decretando l'inutilità degli uomini, dall'altro l'azzeramento di ogni loro valore positivo sancito dalla GNF. Comunque si giudichi la SIA, prodotto diretto del Capitalismo in stretta identità con quel modo di produzione oppure una tecnica di produzione dei beni che può vivere e svilupparsi anche nell’ambito di altri modi di produzione16, è un fatto che la società contemporanea ne sia permeata profondamente, e che all’orizzonte non si prospetta nessun ritorno all’indietro, salvo pensare a sconvolgimenti epocali o immani catastrofi, “temute” o anche quasi auspicate come reazione esacerbata da chi, profondamente a disagio per i suoi esiti, non vede alcuna luce in fondo al tunnel. Nella situazione data e nel presente, perciò, dobbiamo considerare irreversibili alcuni effetti della SIA sui rapporti fra uomini e donne, ma anche tenere bene in mente che, per sua stessa natura di spinta costante e irreversibile, la Tecnica potrebbe in futuro sconvolgerli nuovamente. Ad esempio con l’invenzione, per ora allo stato di prototipo, dell’utero artificiale o dell’amante sintetica che avrebbero l’effetto di azzerare anche il valore delle donne come è già accaduto agli uomini. La domanda, angosciosa, che si pone, è allora se il rimedio allo squilibrio prodotto dalla Tecnica possa trovarsi solo nella Tecnica stessa e nei suoi aberranti ritrovati. “La parità dovrebbe collocarsi solo al fondo della disumanizzazione e nelle forme dell’apartheid? I ponti crollati non sono in alcun modo sostituibili, bypassabili e quelli che possono crollare, lo faranno necessariamente? No se si riconosce l’esistenza di condizioni e forze in grado di equilibrare il rapporto ad onta di quei fatti. Ora, non potendosi trovare sul piano materiale (che opera in direzione opposta), quelle forze devono agire nella dimensione immateriale, psicologica e valoriale. E infatti è là che si trovano ed è a mezzo di una battaglia, o meglio di una guerra culturale — di lunga durata — che la partita può essere vinta. In sostanza siamo chiamati ad intervenire nella dimensione psichica, a rigenerare il sistema simbolico, l’insieme dei valori (stati, condizioni, dinamiche psicoemotive) che presiedono, regolano e guidano la relazione M/F e l’intera società. Si sa e, prima ancora, si sente che quello è il terreno di lotta. Di qui il fascino oscuro — quasi inconfessabile — dell’Islam (comunque lo si giudichi), che fonda la sua forza sulla difesa di un sistema simbolico intatto e che ne protegge l’integrità in tutti i modi, come se temesse che, corroso quello, la rovina dilaghi [...] Ora quelle forze e dinamiche immateriali che di fatto agiscono in direzione mortifera possono e devono agire nell’altra, quella salvifica. La QM innesca un aperto conflitto culturale volto a modificare lo stato psichico collettivo attraverso la costruzione di un nuovo racconto maschile, da gettare sul piatto della bilancia. Vi è inclusa la riumanizzazione della relazione. Un nuovo Passato e un nuovo Presente per un futuro vivibile. Sotto qualsiasi cielo.” Si tratta dunque, per gli uomini, di ri-raccontare se stessi, oltre ogni pretesa di raccontare anche il femminile, con il principale e necessario fine di rilegittimarsi ai propri stessi occhi in quanto maschi17. In questo racconto di sé, entreranno necessariamente, poiché il maschile è Logos e Spirito, anche i temi del sacro e della paternità. Passaggio intermedio necessario della rilegittimazione diventa però, nelle condizioni date, l’ottenimento di un potere su se stessi analogo a quello di cui godono le donne, ad esempio per la questione della volontà o non volontà di essere madri. Se e quando questo potere sarà riconquistato, sarà allora possibile guardare a temi come l’aborto o la fecondazione artificiale in ottica non di genere ma universale, considerandone tutte le implicazioni dal punto di vista antropologico. L'approccio antropologico: Maschi Selvatici. Gli accenni immediatamente sopra ci servono per introdurre un altro sguardo sulla Questione Maschile, a cui attingeremo in modo privilegiato, essendone parte in causa, per trattare in seguito, più in profondità, le singole questioni attinenti al maschile, la sua identità profonda e la sua attuale crisi. Si tratta dell’associazione Maschi Selvatici , promotrice del convegno citato all’inizio dell’articolo, nata alla fine degli anni ’90 ispirandosi ai lavori di Claudio Risè18, il primo nel nostro paese a sollevare la QM col suo libro Il maschio selvatico, edito nel 1996 e ormai giunto oltre la quindicesima edizione. Come scrivevo sopra, le radici della crisi dell’identità maschile nell’Occidente moderno non sono da ricercarsi nell’economia o nel modo di produrre i beni, nel mutamento della struttura sociale e familiare o nel femminismo e nel protagonismo delle donne. Sono tutti, beninteso, fenomeni reali ed influenti con cui fare i conti ma non c’è fra essi un elemento scatenante originario, la causa per eccellenza. Si tratta piuttosto di un processo secolare e non uniforme al quale concorrono tanti elementi. Si dice spesso ad esempio che la crisi d’identità maschile sia tutt’uno con la crisi d’identità della figura paterna. L’affievolirsi della seconda nella coscienza di sé paterna e nella coscienza sociale collettiva incidono gravemente sullo sviluppo identitario del giovane uomo, ed è senza dubbio vero. La virilità non è solo un fatto biologico ma anche un complesso di fattori psichici e sociali, in senso lato culturali, che sulla biologia si innestano e che devono essere “appresi” in quanto l’essere umano ha un corredo istintuale ridotto. Quando viene a mancare chi dovrebbe insegnare la virilità al giovane maschio, tradizionalmente il padre o un suo sostituto di sesso maschile, questi si ritrova “disarmato” e soggetto a influenze altre. È esattamente questa la situazione di oggi in cui, in famiglia e nella scuola, i processi educativi sono affidati praticamente per intero in mani femminili. Tuttavia c’è da chiedersi, ovviamente, il perché della “scomparsa” del padre. Allo stesso modo, osservando che la crisi del maschile diviene evidente nella modernità (o nella ormai post-modernità) e che questa si caratterizza come società interamente secolarizzata e desacralizzata (non nel senso di distinzione laica fra Regno di Cesare e Regno di Dio, ma come marginalizzazione del fenomeno religioso nella sfera intimistico-individuale che si pretende debba essere socialmente irrilevante), viene da interrogarsi sulla relazione fra questi fenomeni. Così come sulla relazione esistente con il prevalere di filosofie utilitaristiche e con il materialismo pratico che impronta lo stile di vita contemporaneo. Potremmo conti nuare ancora con altri esempi, ma è già chiaro che il tutto ci rimanda costantemente ad altro in un intreccio di cause/effetti difficilmente dipanabile. Tuttavia, se, come credo, la crisi non colpisce solo questo o quel gruppo, o solo i maschi di alcune classi sociali, ma seppure con modalità apparentemente diverse coinvolge l’intero gruppo maschile, allora deve esistere un punto di rottura che ha generato, diciamo, una scissione del maschio da se stesso e la perdita, o l’impossibilità a riconoscere, vivere concretamente e rigenerare continuamente, il proprio sistema simbolico. Ora, il maschile è universalmente rappresentato, dalle antiche filosofie orientali a quelle della Grecia classica, come verticalità, tensione verso l’alto, il cielo. Secco, luminoso, apollineo, superuranico, ma anche Spirito, Logos, Coscienza, in contrapposizione simbolica col femminile umido, ctonio, oscuro, natura, inconscio. C’è in questa descrizione dei caratteri maschili un evidente rimando al Sacro, al religioso, a Dio la cui dimora è inevitabilmente in cielo. Scrive Claudio Bonvecchio19 a proposito del simbolismo maschile di Artù: “[…] in quanto prototipo del sovrano si mostra insensibile ad ogni istanza emotiva e passionale, in nome della giustizia e dell’ordine che ritiene di impersonare al più alto grado. Si percepisce come Imago Christi in terra. E Cristo, a sua volta, come ribadisce Jung20, è una spada affilata.” Ecco dunque delinearsi un aspetto importante della crisi. Il sistema simbolico maschile non può prescindere dal trascendente, ma neanche disinteressarsi degli aspetti più terreni dell’esistenza. Da quella rottura, a cascata, se ne generano nel tempo infinite altre, fino a ripercuotersi sulla stessa corporeità, se è vero che è in netto aumento la sterilità maschile, che è poi la somatizzazione della paura di riprodursi. 21 L’accenno alla crisi del corpo non è casuale. La società tecnica22 ha separato l’uomo dal mondo della natura, a tutto vantaggio di processi di pensiero astratti e intellettuali, di produzioni artificiali e tecnologiche entro le quali si racchiude ormai tutta l’esperienza del mondo che all’uomo è dato compiere. Ma il mondo della natura, nelle società tradizionali, era anche quello del Sacro. Erich Neumann23 definisce questo processo anche come scissione fra coscienza e sistema inconscio. Per il maschile, dato il suo diverso e meno immediato rapporto col corpo/natura/inconscio rispetto alla donna, questa scissione ha conseguenze ancora più disastrose. In primo luogo per la perdita di contatto col proprio simbolo per eccellenza, il fallo eretto che da terra si slancia verso il cielo, quasi appunto a simboleggiarne la necessità dell’unione fra i due poli. E poiché un simbolo è qualcosa di vivo che tiene insieme fisico e psichico (definizione di P. Ferliga), si delinea così un altro aspetto della crisi generata dall’allontanamento dalla dimensione trascendente: l’effetto disgregante sulla psiche maschile della scissione fra corpo e spirito, fra terra e cielo. Il mito di Icaro che per es sersi allontanato troppo dalla terra nel suo slancio verso il cielo, vi riprecipita pesantemente perché le sue ali si sono bruciate, serve assai bene ad illustrare la situazione dell’uomo moderno, ed indica anche la via per la sua rinascita. Lo slancio maschile verso l’alto che si disancori dalla natura, finisce per produrre l’effetto opposto, risottoponendolo in realtà al dominio dell’inconscio rimosso in un movimento di natura regressiva, riscontrabile fra l’altro nell’insieme della società. Il mito di Icaro ci indica però, come dicevo, anche la via d’uscita per riconquistare la perduta integrità identitaria. È ciò che Junger24 definisce come il passaggio al bosco, il luogo della selvaticità, ossia il processo di rigenerazione psichica indotto dalla riunificazione fra mente e forze primordiali. Esso, scrive Risè nell’opera citata, “crea una nuova coscienza, che non confonde l’uomo con la terra, ma mostra all’uomo che la sperimenta (come avveniva nelle società tradizionali, presecolarizzate, nelle quali il Sacro naturale non era separato dall’uomo e dalla sua riflessione), un movimento ascensionale.” Potremmo allora partire da qui per approfondire successivamente gli aspetti che disegnano la crisi del maschile. Da qui e da queste parole del poeta Ezra Pound : Il cuore fallico dell’uomo proviene dal cielo fonte chiara di giustezza l’ingordigia lo svia. Il cuore sia retto Il fallo percepisca il suo scopo. (canto 99)
Note: 5 Pertanto le definizioni adottate non significano un’automatica sovrapposizione con precise aree culturali e politiche, perché le tematiche di genere sorte e sviluppatesi con la modernità hanno una complessità tale da non poter essere ricomprese, se non tendenzialmente, nelle tradizionali categorie usate in politica. Ce ne possiamo rendere conto facendo attenzione a come si muovono i partiti, i quali, anche al netto della (massiccia) quota di opportunismo elettorale, mostrano sostanziale confusione e fraintendimento circa il reale significato culturale della questione, nonché un fondamentale appiattimento sulle concezioni della cultura dominante di cui fanno propri i luoghi comuni. 6 Per un approfondimento della discussione con alcuni di questi gruppi, si veda in www.maschiselvatici.it -> Le iniziative dei Maschi selvatici -> iniziative avvenute -> articoli 8, 9, 10, 11. 7 Per gli indirizzi dei siti citati si rimanda alla Sitografia finale. 8 Recensito da chi scrive in www.maschiselvatici.it/index.php? option=com_content&id=498. 9 Tutte le citazioni sono tratte dall’editoriale dello stesso Marchi, “Il movimento”, accessibile dalla home page del suo sito. 10 Rino Della Vecchia Barnart, oltre che animatore di U3000, www.uomini3000.it, ha fondato anche un altro sito www.altrosenso.info “Pagine di filosofia della maschilità”, ed è autore del libro Questa metà della terra, scaricabile gratuitamente da www.uomini3000.it. 11 Le citazioni sono tratte dall’articolo di Barnart, “L’emergere storico della Questione Maschile”, pubblicato su www.uominibeta.org 12 “Come il marxismo-leninismo fu la Grande Narrazione del proletariato, così il femminismo è la Grande Narrazione delle donne occidentali che si va progressivamente mondializzando, ad imitazione e, di fatto, in sostituzione del primo.” R.B. op. cit. 13 Diotima (comunità filosofica femminile presso l’Università di Verona). Oltre l’uguaglianza, le radici femminili dell’autorità. Liguori, Napoli 1995. 14 Termine coniato da Teilhard de Chardin a designare la dimensione sia della conoscenza che dei valori. 15 Il termine Etosfera appare ed è spiegato nel suo esatto significato in R. Barnart, Op. Cit. 16 Da questo punto di vista, è interessante notare l’assonanza con quanto scrive, a proposito del sistema Tecnico, Jacques Ellul ne Il sistema tecnico.La gabbia delle società contemporanee (Jaca Book, 2009). Per Ellul la tecnica è il vero fattore determinante della società, più dell’economia e della politica, più dei sistemi ideologici contrapposti (Ellul scriveva nel 1977) su cui ogni società crede di essere fondata. Le scelte di ogni società sono in realtà dettate dalle esigenza della tecnica, la quale risponde solo alla propria logica e, informando di sé l’ambiente e le stesse persone, è di fatto la negazione di ogni reale libertà di scelta, nonché del principio di responsabilità. 17 R. Barnart, Op. cit. “Sta dunque davanti agli uomini la necesità di costruire un autonomo sistema di Senso, totalmente separato da quello che il femminismo sta imponendo […] Si fonderà sulle specificità originarie della maschilità, su quelle polarità che ne individuano i caratteri universali: creazione contro manutenzione, dono contro calcolo, realizzazione contro appagamento, coscienza contro incoscienza, responsabilità contro innocenza, rinuncia contro soddisfazione, frugalità contro consumo, Spirito contro Materia [...] Gli uomini sono diventati inutili, ma si tratta di una inutilità relativa nel senso che sono diventati inutili per le donne, le quali però rappresentano solo la metà del mondo, l’altra metà è formata dagli uomini e non si è ancora trovata una ragione sulla cui base affermare che siano diventati inutili a se stessi. 18 Risè ha trattato della QM in altri suoi lavori e da differenti angolazioni, v. Bibliografia finale. 19 Op. Cit. pag. 51. 20 C. G. Jung, Risposta a Giobbe. 21 C. Risè, La Questione Maschile. 22 Inevitabile il riferimento ai recenti numeri de Il Covile dedicati alla modernità, e in particolare alla discussione su Romano Guardini. 23 E. Neumann, Storia delle origini della coscienza, Astrolabio, Roma 1978.
Edited by Deusfur - 5/11/2020, 20:46
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