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Nei suoi romanzi, fatta eccezione per "Gli zii di Sicilia", dove però la zia d'America èpur sempre un pretesto per descrivere un certo ambiente e una certa atmosfera, Leonardo Sciascia colloca invariabilmente la donna in una posizione marginale. Soave compagna di viaggio in "Il mare colore del vino", presunta ispiratrice di delitti oscuri e irrisolti nel "Contesto" e in "A ciascuno il suo", moglie infedele nel "Quarantotto", la donna di Sciascia resta pur sempre sullo sfondo delle vicende che riflettono una sua "storia ideale-eterna" della Sicilia. Chiediamo a Sciascia il perché di questo: forse non le interessa la donna? Non ama indagarne la psicologia, o non la considera un soggetto da raccontare? «Sì, credo che la donna non riscuota molta attenzione da parte mia. Ma ci sono tante ragioni. La prima, che ho fatto un certo tipo di narrativa e di soggettistica impegnata sui problemi siciliani, particolarmente, oppure sui problemi politici italiani e non. E allora la donna entrava marginalmente in questo. Ci può anche essere una ragione più profonda, ed è che la Sicilia è un matriarcato. Io ho una certa avversione per questo tipo società matriarcale, perché ho visto sempre che le donne hanno comandato, e hanno comandato sempre annientando l'uomo. C'è tutta una tesi di Dominique Fernandez in "Madre mediterranea" in cui sostiene che persino la mafia nasce da questo matriarcato. E come una rivalsa che l'uomo opera fuori della famiglia. Sì. Forse la ragione profonda per cui non mi occupo della donna è questa avversione al matriarcato, al mammismo in genere». Ma lei, Sciascia, è proprio convinto di questo matriarcato siciliano (perché è un matriarcato piuttosto sotterraneo dal momento che apparentemente la donna siciliana è succuba dell'uomo)? «Ah, sì! Si! Apparentemente le cose stanno così, però nella realtà la donna siciliana comanda nel modo più subdolo e più negativo. Sì, io ritengo che molti mali della Sicilia siano imputabili a questo matriarcato. La donna ha sempre consigliato la viltà,la prudenza, l'opportunismo, l'interesse particolare, e l'uomo ha obbedito sempre. Ma credo che Brancati l'ha già messo in luce impareggiabilmente. In fondo questa virilità siciliana si riduce a ben poco». Anche nei confronti della morte? -+ «Ad un certo punto della vita, quando non sempre, l'uomo siciliano è preso dall'idea della morte, da un'assidua contemplazione della morte. La donna siciliana la morte invece l'amministra, la gestisce, la maneggia come ne fosse immune. Nei miei ricordi (oggi forse non più) i tre giorni di lutto, il cosiddetto "visito", erano il suo teatro e la sua apoteosi». Questo carattere matriarcale della società siciliana trova riscontro nella storia della sua famiglia, contribuendo quindi a questa sua visione? «Indubbiamente sì. Una mia lontana prozia, Mariuzza, nota per le sue stravaganze (dormiva fra l'altro con il capo poggiato su di un cuscino imbottito di salsicce), sentenziò: "Gli uomini di questa casa non servono", convincimento che, come una regola, si è tramandato per generazioni nella mia famiglia. Le mie tre zie custodivano intatta l'eredità di questa convinzione. Mio nonno era un uomo eccezionale e io lo ammiravo profondamente; ma di lui le zie dicevano - con una venatura di sottinteso rammarico - "Non ruba, non aiuta a rubare, contrasta la mafia" - e cosi il nonno viveva praticamente ignorato dal settore femminile della famiglie». Ma è così anche ora in casa sua?«No! Non lo sopporterei! Nella mia famiglia le donne (moglie e figlie intendo) vivono la loro vita inconsapevole libertà. Di conseguenza, per quel che mi riguarda, in un clima di equilibrio e di rispetto reciproci. No! Il matriarcato in casa non saprei sopportarlo». Potrebbe farmi qualche esempio di grandi matriarche siciliane? «"I vicerè", di Federico De Roberto, siapre che Teresa Uzada è appena morta. Ma tutti i destini dei figli saranno dominati e determinati dalla volontà di questa madre, da questo terribile personaggio assente. Ma non si possono fare esempi, indicare dei personaggi al di fuori di quelli che ci offrono gli scrittori siciliani; la forza delmatriarcato sta appunto in questo:nel non scoprirsi, nel non mostrarsi. Al contrario di quello americano. Ricordo un saggio intitolato "Mom" in un numero della rivista di Sartre dedicato agli Stati Uniti. Non c'è niente di simile che riguardi il matriarcato siciliano: tranne quel che dice - ripeto - Dominìque Fernandez in "Madre mediterranea", ma è appena una intuizione, un po' troppo, forse, svolta in psicanalisi». Una società di tipo matriarcale c'è quindi anche in America. Se volessimo fare un paragone fra il matriarcato americano e il matriarcato siciliano, lei come lo stabilirebbe? «Il matriarcato americano è più spietato, più sfrontato, più evidente. Quello siciliano è molto nascosto,molto subdolo, ma altrettanto tenace. Tanto per fare una differenza fra la "mom" americana e la "madre mediterranea": ricordo un romanzo, pubblicato da Vittorini nei "Gettoni"di Morris, se non ricordo male. La madre americana tende, appunto, ad essere la madre dell'eroe: quella mediterranea del mafioso, del camorrista. Che poi l'eroe non sia eroe è un altro discorso». A suo avviso il matriarcato siciliano, attraverso l'emigrazione ha influito su quello americano? «No. Quello americano ha altre origini, irlandesi, quacchere». Sciascia, lei è conservatore o progressista nei confronti della donna? «Credendo nella famiglia come cellu la prima della società, sono necessariamente un po' conservatore. Ma non lo sono nel senso che voglio che all'uomo sia permesso quello che nonè permesso alla donna; vorrei che ci fosse una certa parità. Se la donna deve osservare certe regole, queste regole le deve osservare anche l'uomo». Nei confronti della donna che lavora lei che atteggiamento mantiene? «Sempre nel senso della conservazione familiare ritengo sia negativo il lavoro femminile. La donna, tra l'altro, non sa che perde di potere specialmente nella società meridionale. Questo processo di emancipazione femminile, questa parità che la donna sta conquistando può costituire la fine del matriarcato. Cioè, c'è speranza per l'uomo in Sicilia contro il matriarcato, oggi che la donna sembra debba essere più libera. Perché almeno si combatte ad armi pari. È un avversario che hai di fronte e non alle spalle». Fra la donna italiana e la donna siciliana c'è stata sempre una certa differenza oltre che di atteggiamento anche di valutazione. Attualmente lei pensa che ci sia un livellamento in corso, oppure c'è MIE ancora questa posizione più conservatrice sia della donna in quan- m - Contrasto ~ a LL to donna, sia della società siciliana verso la donna, sia dell'uomo siciliano verso la donna? «Credo si stia arrivando ad un certo livellamento. II costume, la morale pubblica sono mutati dovunque. E questo è per me deludente per quanto attinge agli aspetti civili della cosa. E come il passare la barriera. Quando una donna siciliana passa la barriera, la passa proprio nel modo più totale. C'è un rilassamento che va al di là di quello che può essere il fatto della morale sessuale. Il rilassamento della morale sessuale presuppone o si assimila ad altri rilassamenti. La Sicilia è un paese in cui non esiste la morale pubblica, ecco, e in questa misura si perde anche la morale privata. E anche un fenomeno provinciale. In una grande città la moda non è portata da tutti. In provincia è portata da tutti. Così, se è di moda avere amanti, avventure, in un ambiente socialmente più solido questa moda avrà ripercussioni minori che in un ambiente in cui ci sono strutture sociali più fragili. In effetti siamo sempre lì. La pratica della virtù, anche se ipocrita, era della classe borghese e quindi, dove non c'è stata una borghesia, dove non c'è, il costume risente più facilmente gli echi innovatori». Lei vuole quindi affermare che la donna siciliana fa tutto in modo esasperato? «Sì, fa tutto in modo esasperato e fa anche pesare quello che fa. Cioè, una Potere di donna donna, diciamo, della Val Padana fa quei servizi di casa che fanno le donne siciliane ma senza farli pesare eccessivamente, senza stare impiegata tutta una giornata a fare quei servizi. Io vedo che le donne settentrionali sono sempre più sbrigative; anche in cucina, dove cucinano più elaboratamente, si sbrigano più presto della donna meridionale, della donna siciliana». Queste differenze lei a cosa le ascrive: a una maggiore abilità della donna del Nord? «Le ascrivo a una specie di politica della donna meridionale che vuole fare pesare proprio la sua fatica, il suo lavoro. È un modo, per la donna siciliana, di vendere la propria merce a un prezzo più elevato e di esercitare il suo potere. C'è una bambina, figlia di un mio amico, che quando le domandano che cosa vuole fare da grande dice: "Voglio fare la comandiera". Vuole comandare perché ha capito benissimo il meccanismo della faccenda». C'è una corrente femminista in Sicilia? «No. Il femminismo di associazione non c'è. Non mi pare ci sia neanche nelle grandi città. Questo è segno che non ce n'è bisogno. Per quel che mi riguarda, siccome non riesco a concepire niente di simile da parte degli uomini, non lo capisco neanche da parte delle donne. Il gallismo? È anch'esso una forma di servitù alla donna (nell'accezione di Brancati) che si esaurisce nel parlare di lei: vagheggiamenti senza risultati concreti. Nel momento in cui si apre una certa libertà fra uomo e donna finisce il gallismo. In effetti il gallismo è in agonia proprio perla possibilità (con la parità) di portare alla realizzazione un fatto prima soltanto ipotizzato». Sciascia, ma a lei piacciono le donne? «Magari mi segneranno a dito, ma mi piacciono». Che tipo di donna le piace? «Un tipo di donna siciliano. E quindi viene fuori che sono un po' masochista». ■ <>RIPRODUZIONE RISE
Scusate se è impaginato una merda, ma non ho avuto il tempo di sistemarlo.
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