Il principio di Bateman e il problema incel

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    Da quando sono venuto a conoscenza delle tematiche incel, molte delle mie esperienze con l’altro sesso e molte delle esperienze fatte dai miei amici e conoscenti trovavano finalmente una conferma e una certa sistemazione logica. La maggior parte dei ragazzi che conosco ha molta difficoltà nel rapportarsi con le donne dal punto di vista sessuale-sentimentale; solo alcuni fortunati possono vantare tante esperienze e io personalmente ne conosco davvero pochi. Dato che sono laureando in biologia mi è venuto subito da associare la teoria della redpill ad un principio conosciuto in biologia dalla fine degli anni ’40 e allora ho fatto una piccola ricerca ed ho buttato giù due righe. Questo principio si chiama principio di Bateman dal nome del genetista inglese Angus John Bateman che studiando i moscerini si accorse che il successo riproduttivo era più variabile nei maschi che nelle femmine, in altre parole mentre il numero degli accoppiamenti era uguale come valore medio tra maschi e femmine, il successo riproduttivo dei singoli individui variava molto di più nei maschi che nelle femmine, quindi pochi maschi si accoppiavano molto e tanti maschi nulla, mentre nelle femmine c’era molta meno variabilità per cui tutte le femmine si accoppiavano più o meno con la stessa frequenza. Il principio di Bateman comporta quindi che
    • La varianza del successo riproduttivo è maggiore nei maschi che nelle femmine
    • La varianza del successo degli accoppiamenti è maggiore nei maschi che nelle femmine
    • C’è un rapporto lineare tra il successo degli accoppiamenti e il successo riproduttivo nei maschi, ma non nelle femmine (Arnold 1994)
    Il rapporto lineare che sussiste tra il numero degli accoppiamenti e la fitness riproduttiva viene chiamato gradiente di Bateman (β) e viene rappresentato come un coefficiente di regressione. Dato che i maschi producono milioni di spermatozoi aumentano progressivamente la loro efficienza riproduttiva con il numero degli accoppiamenti, mentre per le femmine una volta fecondati tutti i gameti possibili, che sono infinitamente meno rispetto al maschio, non aumentano oltre la prole generata quindi la funzione subisce una deflessione oltre un certo valore soglia. Vi metto alcuni grafici che ben esemplificano il fenomeno descritto






    (da Jones, Ratterman)






    Nel 1930 Fisher introduce il concetto di anisogamia (differenze dimensionali dei gameti), in pratica i gameti maschili e femminili hanno dimensioni diverse e funzioni specializzate, quello maschile è un vettore genetico semplice e piccolissimo, quello femminile invece ha funzione di nutrimento per quello che poi diventerà l’embrione. Negli organismi arcaici si osserva invece l’isogamia (gameti uguali per dimensioni). Il fatto che forme di vita più complesse abbiano adottato l’anisogamia è funzionale se pensiamo che in ambiente esterno si ha una grossa dispersione di gameti che energeticamente è molto svantaggiosa, per cui conviene che ci sia una specializzazione gametica per cui quelli prodotti a basso costo siano “a tutta perdita”, mentre quelli energeticamente più costosi siano pochi e vengano fecondati tutti. Sembra logico quindi che maschi e femmine abbiano sviluppato differenti strategie riproduttive che consentano ad ognuno di massimizzare il proprio successo riproduttivo, quindi è logico aspettarsi che l’istinto dei maschi sia più portato alla promiscuità mentre quello delle femmine alla maggiore selettività. Questo è accaduto perché l’anisogamia è nata con la fecondazione esterna, cioè prima della fecondazione interna messa in atto da molti vertebrati superiori, quindi prima del sesso vero e proprio, per portarsi avanti poi a livello filogenetico fino agli organismi superiori che riproducendosi tramite l’accoppiamento non ne avevano più bisogno in definitiva. Quindi venendo a mancare l’enorme dispersione di gameti tipica della fecondazione esterna, gli animali superiori di sesso maschile si ritrovavano con un eccesso di capacità fecondante dello sperma che poteva essere sfruttato solo massimizzando il numero degli accoppiamenti.
    Ho trovato un articolo scientifico che analizza il principio di Bateman in 18 popolazioni umane con diverse strategie sessuali, alcune monogame, altre monogame seriali in cui gli uomini e le donne possono separarsi e scegliere un altro partner e altre invece poligame o poliandriche. I risultati dello studio sono tutt’altro che banali e mostrano che la varianza nel successo riproduttivo nei maschi è maggiore che nelle femmine ed è ovviamente maggiore nelle società poligame, mentre nelle società monogame i due sessi mostrano varianze livellate come è sensato aspettarsi. Tuttavia a colpire l’attenzione sono i dati inerenti le società monogame seriali analizzate, che per sistema sono assimilabili alla nostra in cui si formano delle coppie, ma non stabili. Ebbene questi dati ci dicono che la varianza in queste società mostra valori perfettamente in linea e del tutto sovrapponibili a quelle poligame (Brown, Laland, Mulder 2009), in pratica o un maschio ha 20 mogli o una sola ma le separazioni avvengono di frequente, la situazione è sempre la stessa, pochi sono i vincitori e molti i perdenti. Addirittura in una società sudamericana il rapporto dei valori della varianza maschile su quella femminile è di 4,22!!!!!!!!!!!!!!!!!
    Quindi la disparità tra maschi è 4,22 volte che nelle femmine per quanto riguarda il successo riproduttivo; questo sconfessa chiaramente la tesi per cui alla fine ogni uomo troverà la sua donna dato che ci sono tante donne per quanti uomini, non è ovviamente così e molti rimarranno incels a vita. Vi allego i relativi grafici


    (da Brown, Laland, Mulder)


    Table 1
    Mean and variance in reproductive success (RS) of males and females in 18 populationsa
    Country Population or ethnic group Nmb Meanm Varm Nf Meanf Varf Vm: Vf Im: If Mating systemc Refs
    Finland 1745–1900 genealogies 125 3.4 6 138 3.5 7.6 0.79 0.81 Monogamy [80]

    Norway 1700–1900 genealogies 955 4.7 8.5 991 4.5 8.3 1.02 0.98 Monogamy [81]

    Pitcairn Island Genealogical records 145 4.6 23.6 127 4.7 23.2 1.02 1.04 Monogamy [82]

    Iran Yomut Turkmen 267 5.1 8.1 216 3.9 7.1 1.14 0.86 Polygyny/monandry [83]

    Sweden 1825–1896 genealogies 1201 2.1 11.5 1050 2.4 9.7 1.18 1.65 Monogamy [84]

    Dominica Local population 130 4.4 14.3 124 5 11.6 1.23 1.40 Monogamy [85]

    Tanzania Pimbwe 138 6.0 9 154 6.1 7.3 1.24 1.27 Serial monogamy [36]

    USA General social survey 1099 2.0 2.3 1344 2.0 1.8 1.27 1.25 Monogamy [86]

    Central African Republic Aka 29 6.3 8.6 34 6.2 5.2 1.66 1.63 Polygyny/monandry [87]

    Botswana Dobe !Kung 35 5.1 8.6 62 4.7 4.9 1.77 1.61 Serial monogamy [34]

    Tanzania Hadza 54 4.3 9.8 44 3.6 5.1 1.93 1.63 Polygyny/serial monandry [88]

    Venezuela Yanomamo 279 3.7 10.1 380 3.4 4.4 2.30 2.11 Polygyny/monandry [89]

    Chad Dazagada 44 8.6 15.0 33 6.4 6.5 2.31 1.72 Polygyny/monandry [90]

    Chad Arabs 23 10.3 14.4 22 8.3 5.1 2.82 2.28 Polygyny/monandry [90]

    Brazil Xavante 62 3.6 12.1 44 3.6 3.9 3.10 3.10 Polygyny/serial monandry [39]

    Kenya Kipsigis 82 10.9 24.4 260 6.6 5.9 4.18 2.52 Polygyny/monandry [91]

    Paraguay Ache 48 6.4 15.1 25 7.8 3.6 4.22 5.16 Serial monogamy [35]

    Mali Dogon 44 6.1 10.7 48 3.2 2.3 4.75 2.47 Polygyny/serial monandry [92]

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    aMost studies report lifetime RS as the number of live births, or children living to 5 or 15 years of age, for post-reproductive men and women. Where the mean RSs for males and females are not equal, the data have not been drawn from a closed population. The ratio of the opportunity for selection in males and females (Im: If) takes into account the difference in average RS between males and females (the same pattern of results is found when this variable is used instead of Vm: Vf in the analyses regarding mating systems).
    bColumn heading abbreviations: Im: If,ratio of the ‘opportunity for selection’ in males and females, where I = variance in RS divided by the square of the mean RS [79]); Meanf, mean female lifetime RS; Meanm, mean male lifetime RS; Nf, number of females; Nm, number of males; Varf, variance in female RS; Varm, variance in male RS; Vm: Vf,ratio of variance in male RS to female RS.
    cFor non-monogamous populations, the most common mating patterns for males and females are stated separately (males/females).
    Un altro dato interessante ricavato dagli etnografi è che la varianza nel successo riproduttivo è minore nelle società di cacciatori-raccoglitori, che cioè vivono nella maniera più simile all’uomo preistorico, rispetto alle società agricole(Betzig 2012) Durante la nostra lunga preistoria l’Homo sapiens sarebbe stato per lo più monogamo; con l’affermarsi della sussistenza e del sedentarismo la varianza riproduttiva sarebbe aumentata. Tra le popolazioni di cacciatori raccoglitori meno egalitarie ci sono quelle che vivono lungo i corsi d’acqua e le fasce costiere dove i climi sono miti e le risorse maggiormente disponibili(Betzig 2012) Risulta evidente come la maggiore variabilità nel successo sessuale dei maschi si osservi in quelle società già tecnologicamente avanzate in cui l’uomo è riuscito a manipolare l’ambiente a suo vantaggio per ottenere risorse. Nelle società invece più “naturali” la disuguaglianza nel successo sessuale e riproduttivo è molto contenuta. Quindi tutti quelli che si riferiscono ad un ipotetico passato preistorico in cui le donne selezionavano i “migliori” nella maniera più spietata possibile attraverso criteri eugenetici lasciando a bocca asciutta la maggior parte degli uomini di allora, probabilmente, anzi sicuramente non conosce nulla di etnografia, quella seria. Noto sempre più una rassegnazione di fondo nelle comunità incel, una sorta di accettazione passiva dell’ineluttabilità della condizione maschile che moto spesso viene definita si triste, ma inevitabile e “naturale”. Non c’è nulla di naturale nell’enorme potere sessuale femminile della società di oggi, conseguenza dell’opulenza e del benessere e non certo di dinamiche biologiche primordiali. Sarebbe bene ricordare poi che la selezione sessuale e la selezione naturale non sono forze che agiscono di concerto, ma bensì molto spesso , anzi quasi sempre hanno verso opposto. I caratteri sessuali che le femmine in natura trovano attraenti sono quasi sempre inutili e dispendiosi, ad esempio un piumaggio particolarmente variopinto del maschio può rappresentare uno svantaggio non da poco per il portatore che, non riuscendo a mimetizzarsi, vede ridursi le sue capacità di cacciare e di difendersi da eventuali predatori. Lo spiega molto bene Fisher nel suo concetto di fuga fisheriana. Per la teoria della fuga il carattere sessuale e la preferenza per il carattere compaiono contemporaneamente e casualmente in alcuni individui. A quel punto le femmine che hanno sviluppato la preferenza al carattere si accoppieranno con i maschi che presentano il carattere e la prole erediterà sia la preferenza che il carattere stesso. A quel punto il carattere e la preferenza si diffonderebbero attraverso un processo esponenziale nella popolazione. L a critica più evidente che viene fatta a questa teoria è che il carattere può essere selezionato solo se sussiste una variabilità dello stesso. Se tutti gli uccelli di una data specie ,maschi, presentano lo stesso colore giallo acceso in egual misura, le femmine non potranno mai selezionare i maschi sulla base di quel carattere. Data l’inevitabile tendenza del meccanismo di fuga alla stabilizzazione del carattere che diventerebbe quindi ubiquitario ed ugualmente espresso in tutti i maschi perché solo i “migliori” si riprodurrebbero si incapperebbe in un effetto paradosso per cui il meccanismo di avvio della fuga e della selezione sessuale, cioè la presenza di un carattere variabile e dimorfico nei maschi, sarebbe disattivato dalla selezione stessa che in quanto selezione ha un effetto stabilizzatore per l’appunto. Il carattere poi non potrebbe svilupparsi all’infinito perché in quanto dispendioso incontrerebbe l’effetto opposto della selezione naturale che ne impedirebbe una maggiore espressione da parte del portatore non appena i costi diventassero superiori ai vantaggi. Secondo questo meccanismo quindi dopo diverse generazioni dovrebbero nascere tutti belli e sappiamo tutti che così non funziona, la variabilità del carattere è il meccanismo principale attraverso il quale la selezione sessuale può agire. Quindi non c’è nessun significato finalistico della selezione sessuale, ma verosimilmente la selezione sessuale ha significato in se stessa e nell’istinto femminile che trova origini più antiche del sesso stesso, nella differenza dimensionale dei gameti appunto. I caratteri sessuali dei maschi sono il mezzo e non il fine per cui la riproduzione attraverso il sesso può avere luogo.

    Bibliografia
    Bateman’s principles and human sex roles- Brown, Laland, Mulder-Trends in ecology and evolution 2009
    Mate choise and sexual selection: what have we learned since Darwin-Jones, Ratterman-PNAS 2009
    Un conflitto di interessi tra maschi e femmine dovuto all’anisogamia-Pikaia.eu
    Means, variances, and ranges in reproductive success: comparative evidence
    Betzig, Evolution and Human Behavior 2012
     
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    Ecco i grafici del gradiente di Bateman e del rapporto tra le varianze del successo riproduttivo di maschi e femmine
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    Rapporto varianza successo riproduttivo

     
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    Gradiente di Bateman
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    gradiente di bateman BETA

     
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  4. __Aedo__
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    [Il saggio Eratostene]

    Magnifico!
    Va detto però che la teoria dell'handicap è stata ridimensionata. Parrebbe che in realtà i maschi con le "decorazioni" migliori vengano predati di meno.
    Io credo che l'essere umano abbia una tendenza a mitigare con la struttura sociale la propria propensione alla poligamia: il grado di dimorfismo sessuale fra maschi e femmine in una specie solitamente è un buon indice di valutazione del comportamento sessuale di tale specie. Nell'essere umano il dimorfismo è simile a quello del gorilla che è specie molto poligama ( in particolare la differenza di peso considerando il sistema muscolare ).
    Una possibile spiegazione della presenza di stretta monogamia nelle società preistoriche credo sia dovuta alla necessità di avere dei compagni il più collaborativi possibili, per fronteggiare le difficili condizioni di sopravvivenza.

    Edited by __Aedo__ - 31/1/2021, 16:46
     
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    Ottimo ;)
    In questo scritto di Preve, viene anche affrontato il tema del determinismo biologico.

    https://oltrelalinea.news/2017/03/09/preve...al-capitalismo/

    Edited by Deusfur - 31/1/2021, 17:33
     
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    Il fatto è che oggi si considera la sessualità maschile essenzialmente passiva, con le donne a selezionare e gli uomini a subire la selezione, giustificando la cosa come biologica. In natura i maschi partecipano attivamente alla selezione sessuale combattendo tra loro per aver accesso alle femmine e monopolizzare gli accoppiamenti. La competizione avviene anche a livello postcoitale attraverso la formazione di tappi spermatici che sigillano il canale riproduttivo della femmina impedendo ulteriori fecondazioni. Il concetto stesso di maschio alpha, cioè di maschio dominante sugli altri maschi è travisato. La gente immagina il maschio alpha come il figo di turno o come il dominatore nei giochi di ruolo BDSM. L'immagine della riproduzione animale come di una sorta di Uomini e Donne con i tronisti alpha e gli eterni amici beta, è un prodotto della fantaetologia moderna diffusa da psicologi e sessuologi che sulla falsa riga della retorica femminista diffondono concetti errati che dimostrano solo la scarsa conoscenza dell'etologia e della biologia evoluzionistica. Il sistema di riproduzione animale non è un concorso di bellezza maschile con gli alpha in passerella a farsi giudicare da un entusiasta giuria femminile.
     
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    Quello che cerco di dire da anni.
     
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