Menzogne mediatiche e dissimulazioni linguistiche. Come e perché?

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    Menzogne mediatiche e dissimulazioni linguistiche. Come e perché?
    Armando Ermini 16 Ottobre 2020
    di Armando Ermini.
    La tecnica è collaudata. In una prima fase, col fattivo contributo di tutti o quasi i media, si gonfiano i dati fino all’inverosimile o si enfatizzano i fatti, per stimolare emozionalità nell’opinione pubblica e creare allarme sociale. Contemporaneamente si creano neologismi “tranquillizzanti” o, secondo gli obiettivi che ci si propone di raggiungere, “allarmanti”. Preparato così il terreno, nella fase successiva si passa all’approvazione con largo consenso parlamentare e popolare di leggi discutibilissime sotto il profilo morale ed etico. L’obbiettivo è così raggiunto. Una volta che ci sia la codifica legislativa, il tempo stempererà le obiezioni e anche gran parte degli oppositori si abituerà a considerare normali e giuste le norme un tempo condannate.

    Non occorre andare troppo lontano nel tempo, ai regimi totalitari che quelle tecniche hanno abbondantemente usato e che non vorremmo vedere mai più, per dimostrare che è così. Basta osservare il passato prossimo ed il presente del nostro e di altri paesi democratici. Prima dell’approvazione della legge 194, ad esempio, circolavano sulla stampa e anche in Parlamento cifre inverosimili (uno, due, perfino 3 milioni all’anno) sul numero di aborti clandestini e sulle donne morte a causa di questi (venticinquemila). Quelle cifre non avrebbero retto al minimo vaglio critico, eppure furono usate cinicamente per fare accettare all’opinione pubblica la legge che avrebbe legalizzato l’aborto, poi eufemisticamente chiamato "interruzione volontaria della gravidanza", quelle che lo regolano "leggi sulla salute riproduttiva delle donne" o addirittura "di tutela sociale della maternità consapevole", mentre al bambino non ancora nato è stata tolta la dignità di essere umano chiamandolo "prodotto del concepimento". Successivamente le pillole abortive vengono definite, sulla stessa falsariga, "contraccettivi d’emergenza".



    La terminologia falsificante dilaga.
    Stesso gioco avviene con l’omofobia. Utilizzando lo sdegno, ovviamente giusto, per le discriminazioni contro gli omosessuali, si vuole ottenere uno scopo ampio e dalle incalcolabili conseguenze sul piano antropologico: negare la differenza sessuale fra uomo e donna, data in natura ma ritenuta solo un costrutto culturale, e attraverso ciò mutare profondamente il concetto di famiglia naturale. Non più l’unione potenzialmente feconda fra un uomo e una donna, e per questo socialmente riconosciuta e tutelata, ma una qualsiasi unione fra due persone dipendente solo dalla loro volontà (e perché non tre, ad esempio?). Così i termini "marito e moglie", o "padre e madre", perdono ogni significato specifico e sono stemperati nelle definizioni grottesche di "partner" oppure "genitore A e B". Inutile aggiungere che, in questo scenario, della salute psichica dei bambini nessuno si preoccupa minimamente.

    Il femminicidio è un altro esempio. Ormai ogni giorno lo ascoltiamo dai telegiornali e lo leggiamo sulla stampa, perché in pratica ogni omicidio di donna viene catalogato sotto questa definizione, sostenendo che la violenza contro le donne è arrivata a un punto insostenibile. In casi estremi si arriva a dire che la violenza è la prima causa di morte per le donne da 16 a 44 anni d’età, più del cancro e degli incidenti stradali. Un falso clamoroso partito tempo fa da Amnesty International, che però è stato ed è ancora utilizzato, sebbene la stessa Amnesty sia stata costretta a fare marcia indietro, sia pure a denti stretti. La parola femminicidio, così, evoca immediatamente quella di "genocidio". Di modo che l’immaginario collettivo sia indotto a pensare il proprio paese come un immenso lager in cui un gran numero di donne, solo perché donne, vengono quotidianamente uccise, stuprate, violentate, eccetera. È verosimile, anche semplicemente alla luce dell’esperienza quotidiana di ciascuno di noi? Ovviamente no. Eppure la terminologia falsificante dilaga.


    L'universo maschile si merita ben altro.
    Ma qual è lo scopo di questa martellante campagna? È duplice. Da un lato instillare la convinzione che la violenza in quanto tale sia maschile e che sia principalmente rivolta contro le donne per opprimerle, e dall’altra, sull’onda del primo punto, preparare l’opinione pubblica ad una legge di incalcolabile gravità che, come già accaduto in Spagna, preveda pene maggiori per identici delitti quando la vittima è una donna. Alcuni disegni di legge in tal senso sono già in cantiere. È immediatamente evidente che si tratterebbe di un insopportabile vulnus alla democrazia, nonché di un provvedimento palesemente incostituzionale in quanto violerebbe il principio di uguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge. Ma questo sarebbe ancora il male minore. La cosa più grave sarebbe sul piano simbolico prima ancora che legislativo. Si sancirebbe che la vita maschile ha un valore e una dignità inferiori a quella femminile e quindi è maggiormente spendibile o sacrificabile. O viceversa, ma è lo stesso, che quella femminile vale di più di quella maschile. Si tratterebbe di un regresso culturale di enorme portata che sul piano simbolico, e nel tempo anche concreto, riporterebbe l’umanità indietro di millenni, a prima che il tanto esecrato patriarcato sancisse il principio che la norma deve valere erga omnes. E una volta rotto un principio simbolico, tutto diventa possibile. Dipenderà solo dai rapporti di forza che di volta in volta si instaureranno.

    Da sempre gli uomini si sono sacrificati per le donne o al loro posto: in guerra, sul lavoro o per salvarle quando si sono trovate in pericolo. È l’essenza del dono maschile, perso il quale gli uomini perderebbero se stessi, e con sé stessi tutta l’umanità. Quel dono, per poter essere tale, presuppone la libertà di donarsi con un atto di volontà o semplicemente d’istinto. Ma la libertà, a sua volta, è fondata sull’uguaglianza simbolica. Ritenersi invece spendibili o sacrificabili perché la propria vita vale di meno di quella altrui, sarebbe l’opposto, e quell’atto donativo scadrebbe ad omaggio dovuto a chi si ritiene superiore, perdendo con ciò ogni valore intrinseco e ogni senso. È questo che si vuole davvero? Ormai credo proprio di si; e credo anche che la convinzione della superiorità del sesso femminile non alberghi soltanto nel femminismo militante, ma sia diffusa anche e soprattutto fra le donne e gli uomini per così dire normali. E questo è l’aspetto più preoccupante, perché le menzogne, le falsità, la manipolazione degli eventi, la sfacciataggine con cui il femminismo fa i suoi proclami, sebbene sempre più spesso si smascherino da soli, tanto sono eclatanti, permeano la cultura diffusa rendendo il clima sociale e relazionale sempre più opprimente e asfittico. Anche per questo, per quanto sia fastidioso dirlo, accade talvolta che il femminismo ossessivo generi reazioni oscene, stupide, e purtroppo anche criminali, da parte di alcuni maschi (mai diventati uomini), che squalificano tutto l’universo maschile, che ben altro si merita.
     
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