JACQUE CAMATTE: Verso la comunità umana

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    Incollo tutto il paragrafo, anche se le parti più immediatamente attinenti alla battaglia contro le logiche dell'attuale sistema dominante sono quelle che ho sottolineato.

    Emancipazione, crisi e critica


    "[…] La critica ha un legame innegabile con la concorrenza e di conseguenza con la pubblicità. È evidente che con l’inflazione di opere sorge la necessità di scegliere, non da soli ma con la mediazione di un terzo che media tra me e le opere, e mi condurrà verso quelle buone. A questo riguardo è interessante occuparsi del ruolo della censura; non una censura diretta, cioè le forbici (si taglia nel corpo dell’oggetto); ma una censura che, in definitiva, taglia nel corpo del mio essere tagliando i miei legami potenziali con certe opere in quanto sono criticate, sottoposte cioè a dubbio, rimesse in discussione; e si scende più facilmente una china col discredito di quanto si possa salire col concetto di credito. La pubblicità è l’esteriorizzazione in positivo della critica. Essa non dà che giudizi favorevoli, positivi, valorizzanti tutto, realizzando implicitamente una devalorizzazione degli elementi concorrenti. L’essere umano anche in questo caso è spossessato, spogliato. La pubblicità gioca molto a livello di tutti i racket. […]
    D’altra parte la rivoluzione non è possibile che a patto che la grande maggioranza degli individui comincino a rendersi autonomi rispetto alle loro condizioni materiali (ciò che si definiva accesso alla coscienza). Da questo punto di vista la scuola olandese (soprattutto Pannekoek) ha avuto il merito di insistere su questa necessaria trasformazione nel corso della rivoluzione.
    Prima che si produca un urto potente, occorre che una unione dei rivoluzionari sia in corso di realizzazione, che si manifesti una nuova solidarietà così come una nuova sensibilità, ma soprattutto è indispensabile una rappresentazione diversa, altrimenti l’urto metterà solamente in moto una violenza cieca incapace di sfociare nell’ affermazione di un altro modo di vita. Se dunque si accetta il termine crisi per indicare la situazione attuale, va sottolineato che essenziale non è quest’ultima, ma il fatto di sapere se gli uomini l’affrontano sempre secondo gli stessi schemi.

    Questo non vuol dire che occorra accettare la teoria secondo cui bisogna prima di tutto cambiare le mentalità. Si vede troppo bene che queste non sono modificate da interventi individuali o collettivi (parziali, non totali), o da qualsivoglia specialista dell’agitazione. Ma è chiaro che uno sviluppo dato di una determinata società non produce automaticamente uno spirito rivoluzionario. Bisogna dunque affrontare la crisi attuale nella sua particolarità e nei modi in cui essa deve essere colta. Il più grande elemento di crisi sarà (e debolmente lo è già) un comportamento umano del tutto diverso, non addomesticato, cioè non asfissiato dalla razionalità tout court. Ora, il nostro mondo è dominato, conquistato dal materialismo storico; il progresso è concepito come progresso delle forze produttive; persino coloro che non professano questa teoria ne sono impregnati, essa è per loro come un minimum di riferimento con la realtà; per costoro tuttavia essa sarebbe valida nel campo materiale ma non potrebbe render conto della totalità. Occorre dunque rompere con questa razionalità e col mondo che essa controlla."
     
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