Risposta ad Emanuela Griglié: il tentativo di legittimare l'odio verso gli uomini

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    Il 27 luglio, ben tre quotidiani di tiratura nazionale (tra cui immancabilmente La Repubblica) hanno pubblicato un papello femminista e antimaschile, che cerca di legittimarsi presentandosi come l’esposizione di considerazioni e analisi “scientifiche”. Niente di nuovo, si dirà. Ed è vero, assolutamente nulla di nuovo (ed in questo caso il “poco nuovo” è in buona sostanza la copia di un articolo pubblicato due settimane prima, che a sua volta sembra essere una traduzione -con errori evidenti, come la traduzione del termine hypergamy con “ipogamia”, al posto di “ipergamia” - di un articolo statunitense: i giornaloni italiani, attraverso una triplice fatica intellettuale, pubblicano testi che si plagiano vicendevolmente, testi che a loro volta altro non sono che la traduzione di articoli pubblicati dalla stampa commerciale e scandalistica di oltreoceano; il top of the best, per dirla in breve). Ma poiché dietro ogni suicidio maschile, dietro gli incidenti e le morti sul lavoro, dietro la sacrificabilità maschile in generale e soprattutto dietro il modo in cui sistema cerca di oscurare questi fenomeni vi sono dei nomi e cognomi, è bene iniziare a farli.
    Il testo di cui ci occuperemo in questo articolo, porta la firma di Emanuela Griglié (ogni volta che vedrete un uomo schiacciato dal sistema, ricordatevi di questo nome).
    L’articolo della Griglié (che non è neanche originale, ma si tratta, come abbiamo mostrato, di una scopiazzatura di un articolo precedente) inizia con l’affermazione che “trovare l’uomo giusto è praticamente impossibile, gli uomini non sono all’altezza delle donne. E no, non è una battuta, lo dice la scienza”.
    Ovviamente la “scienza” (termine che l’autrice impiega peraltro con una vaghezza da terza elementare) non afferma nulla di tutto questo. Il riferimento è a qualche sondaggio di opinione attraverso il quale un certo numero di donne intervistate afferma di essere insoddisfatta della propria vita di relazione.
    Un elemento di questo tipo (la raccolta delle risposte di un questionario in cui si chiede nella sostanza alle donne di parlare male degli uomini) diventa un giudizio “scientifico” sulla “oggettiva inferiorità maschile”; nella Germania del 1940 Goebbels sosteneva qualcosa di simile: “la scienza afferma che gli ebrei sono nemici del popolo tedesco”. I metodi adottati in questa tipologia di testi, come è possibile rilevare, non sono per niente diversi da quelli della peggiore propaganda nazista (in realtà la superano in nefandezza e vigliaccheria, ma lo vedremo in seguito).
    Dopo questo incipit, l’articolo afferma che le donne sono più brave, più colte, più intelligenti, che si laureano di più (ed è vero che c’è un gap scolastico a detrimento del maschile; una realtà che il femminismo, nel fornirne una interpretazione, ribalta come un calzino: quando gli uomini percepiscono un reddito maggiore, sicuramente -per le femministe e quindi per tutto il carrozzone mediatico e istituzionale- vi sarà una qualche gravissima discriminazione di carattere sociale che priva le donne di quella ricchezza a cui avrebbero titolo; quando invece emerge il dato di una situazione in cui le donne hanno una posizione di vantaggio, beh, lì è perché lo dice la scienza, la biologia e perché le donne sono più brave…). L’autrice aggiunge poi che nonostante questa superiorità biologica, intellettuale e morale, le donne vengono discriminate dal sistema e quindi pagate di meno (la solita menzogna a cui le femministe ci hanno abituato e che, sicure dell’impunità di cui usufruiscono, non sentono neanche il bisogno di innovare) e che ciò addirittura si è verificato durante la pandemia: i dati, come ben sappiamo, dicono l’esatto contrario: sono gli uomini che in misura maggiore hanno perso il lavoro e hanno patito i costi più pesanti - tra cui incidenti del lavoro e suicidi – della crisi economica prodotta dalla pandemia (e nessuno ha di certo pensato a un “reddito di libertà” con cui sostenerli).
    L’articolo neonazista (questo è) della Griglié prosegue affermando che gli uomini non sono fisicamente all’altezza delle donne: un uomo per ricevere la considerazione di essere umano, di persona, secondo la scienza (la scienza della Griglié) deve essere almeno venti centimetri più alto di una donna. Gli uomini, aggiunge la Griglié si accontenterebbero di essere anche 8 cm più alti della propria compagna; ma questi 8 cm, sono una differenza “misera” (scrive letteralmente così). Griglié non ha dubbi: un uomo, per essere biologicamente puro ed essere considerato una persona degna, deve essere di almeno 21 centimetri più alto della propria compagna.
    Il finale, con la citazione di una tale psicanalista Anna Maria Nicolò, è un capolavoro. “Il maschio diventerà obsoleto”(si chiede la Griglié)? La psicoanalista intervistata, ci suggerisce che la risposta è negativa. Perché lo è? Perché i femminicidi sono in aumento e le donne sono quella che di più hanno perso il posto di lavoro durante la pandemia!
    Il ragionamento quindi, che è in ogni caso costruito su dati falsi (le affermazioni sui femminicidi in aumento e rilievo occupazionale), è quello secondo il quale gli uomini sono degli assassini e degli usurpatori della superiorità biologica e intellettuale femminile, quindi altro che estinzione! Magari ci fosse una estinzione maschile in atto!
    A queste esternazioni ne seguono altre, sempre di stampo femminista e quindi tutte uguali: «gli uomini sono violenti, gli uomini uccidono le donne, gli uomini devono evolversi, gli uomini devono cedere il potere e il privilegio maschile», eccetera eccetera.
    Questo è il contenuto dell’articolo (per sommi capi: chi lo desidera può prenderne visione integrale e leggerne in un altro articolo), ma se non bastasse, per capire chi è la Grigliè, basta effettuare una semplice ricerca: si trova un testo che contiene tesi che, solamente su questa pagina, saranno state affrontate e confutate fino all’ultima virgola e che non sono altro che le classiche manipolazioni e menzogne femministe, presentate come “dati oggettivi, scientifici e imparziali”.

    Una domanda che ci si potrebbe porre è come sia possibile che ben tre (o almeno questi sono quelli che abbiamo contato) quotidiani nazionali abbiano pubblicato una spazzatura razzista di questo tipo e senza la benché minima voce critica. Un testo che, come tutti quelli che istigano all’odio ma che sono il prodotto del codice ideologico dominante, si ammanta di “fondatezza scientifica”; e che - lo ribadiamo - pur non possedendo alcun valore sul piano della coerenza logica e dell’originalità dei contenuti è stato pubblicato da diverse testate di rilievo nazionale.
    Trattandosi di contenuti arcinoti, nonostante gli sforzi pubblicitari è passato inosservato; ma che sia passato inosservato anche l’odio che diffonde è un fatto di per sé rilevatore dello spirito dei tempi ed è su questo che vorremmo soffermarci. Perché un testo e dei contenuti che farebbero impallidire gli articoli della Der Stürmer vengono proposti senza che nessuno batta ciglio?
    A questa ed altre riflessioni, tenteremo di rispondere nel paragrafo successivo.


    Il problema politico del processo ragionativo del femminismo.
    Tra chi non condivide la narrazione femminista, i suoi diktat, talune sue espressioni mediatiche e istituzionali, ricorre talvolta l’impiego del termine “nazifemminismo” o “nazismo femminista”. Ben consapevoli che non vi è alcun collegamento teoretico tra il fenomeno storico del nazismo e quello del femminismo, ve ne sono tutta di molteplici per quanto riguarda l’istigazione e la propaganda dell’odio razziale (nella fattispecie quello contro gli uomini), il peso istituzionale (acquisito oggi dall’ideologia in oggetto) e una più generale forma mentis.
    Nella fattispecie, possiamo rilevare che le tesi proposte o in qualche modo sostenute dalla Griglié sono le seguenti:
    - la riduzione della felicità al piacere sessuale femminile e la riconduzione dell’umano a questo tipo di felicità;
    - l’esistenza di una superiorità biologica e morale delle donne, affermazione che viene presentata come un elemento “dato dalla scienza” (non quindi come una semplice dottrina politica o opinione);
    - l’esistenza di una oppressione delle donne da parte degli uomini, oppressione che impedisce a questa “razza superiore” (le donne) di raggiungere il posto che le spetta nella storia dell’umanità e nella guida del genere umano (luogo che le spetta di elezione, preso atto della superiorità biologica e morale sugli uomini).
    Conseguentemente le strategie argomentative messe in atto per sostenerle poggiano sulla falsificazione plateale di alcuni rilievi statistici, su una interpretazione anch’essa falsata di altri, sul tentativo di presentare come “risultanze scientifiche” le proprie opinioni politiche e i propri convincimenti morali, sul dipingere una parte della popolazione come oppressa (quella dotata della superiorità biologica e morale) e un’altra parte come gli oppressori (questi ultimi vengono da un lato descritti come prevaricatori e violenti, degli usurpatori a pieno titolo; dall’altro come dei soggetti “inadatti”, “non abbastanza evoluti”, “fisicamente e moralmente inadeguati a detenere diritti”).

    Nonostante l’evidente assonanza tra queste tesi e quelle proprie del pensiero di Goebbels, Himmler o Goering (basti sostituire “ebrei” a “uomini” e “popolo tedesco” a “donne”), si potrebbe obiettare che, stante l’assenza di una statolatria all’interno del pensiero femminista (almeno fino a un certo punto), il rischio del genocidio o di altri immani catastrofi è ben lontano. Tuttavia il balzo verso le sciagure di cui sopra non si ha necessariamente a questo punto, ma può perfettamente prefigurarsi come possibile nel momento in cui una società umana non è considerata portatrice di un diritto oggettivo, ma oggetto di un potere, mera passività sottoposta a eventi decisi da una minoranza, o comunque da altri, senza alcuna legittimazione nel discorso pubblico. La matrice della violenza generata da questo tipo di ragionamento è politica perché etica (la superiorità biologica e morale femminile rispetto all’inferiorità dei “maschi oppressori” può fungere infatti da legittimazione di ogni istanza istituzionale e sociale), e inversamente è etica in quanto è politica (la natura politica di un discorso che viene invece presentato come “scientifico”). Se l’inversione del discorso sul rapporto tra etica e politica è aprioristica e arbitrariamente decisa (come avviene nelle tesi della Grigliè), le conseguenze che ricadono sulla prospettiva politica non possono che essere arbitrarie tanto quanto sono prive di legittimazione democratica, quindi di giudizio, e provviste di una tendenza irreversibile alla repressione dall’alto per riuscire a imporsi (e le testimonianze in questo senso sono innumerevoli; basti pensare al contenuto dell’ultima relazione presentata dalla Commissione sul femminicidio, in cui si propone che i CTU vengano in sostanza selezionati unicamente tra chi proviene dalle associazioni femministe).
    Una serie di caratteristiche e di conseguenze lo conferma. Innanzitutto la già osservata tendenza alla diffusione delle tesi femministe in ogni agenzia formativa, da quelle che forniscono l’istruzione di base fino al settore accademico: è evidente il tentativo di porre in essere una inversione di principi; e non conta molto che ciò avvenga sotto la spinta di una infatuazione utopistica (anch’essa ovviamente capovolta), poiché il fine è quello di avviare i moderni sistemi sociali sulla strada indicata dall’ideologia femminista (con buona pace del rispetto della vita umana, dei principi democratici e della tesi dell’uguaglianza di ogni essere umano e della sua sostanziale unità).


    La duplice morale del pensiero femminista.
    Sotto questo profilo è difficile da contestare che il pensiero femminista spinga alle estreme conseguenze una specie di teoria della duplice morale, - la morale che secondo femministe va tenuta in conto per le donne non deve avere alcun rapporto con la morale applicata agli uomini (i “maschi”) - ma anche che una qualsiasi morale è inconcepibile per coloro che il femminismo designa come oggetti di demofagia (è infatti interessante rilevare l’uso iterativo della parola «maschio» nel lessico femminista, per indicare sia gli uomini che commettono alcune azioni o che godono – secondo il pensiero femminista - di particolari privilegi, sia la categoria degli uomini tutta quanta: il termine «donna» invece, mai è sostituito o diventa sostituibile con quello di «femmine». Tale prassi suggerisce che gli uomini, come corpi sessuati maschili, non abbiano sostanzialmente “natura umana”: sono «maschi» appunto, animali non umani, in contrapposizione alle donne, che «donne» rimangono).
    Infine, è evidente che per esercitarsi questo dispotismo femminista (di cui il razzismo è una mera funzione) condizione prima ed essenziale è l’impunità della congregazione dei suoi fautori, e siccome il suprematismo femminile e femminista coincide con la giustizia, il suo esercizio non può non implicare una perenne franchigia (vedasi a riguardo l’azione istituzionale nella vicenda di Laura Massaro, dove la realtà è stata ribaltata come un calzino e ci si sta muovendo per cambiare i periti, i giudici e infine le leggi). Ora, questa non può essere garantita se non dal potere assoluto, ovvero dalla riduzione dello Stato a preordinata agenzia femminista (e quindi macchina androcida), e l’esaurimento del serbatoio dipende soltanto dalla moltiplicazione delle occasioni (per cui, quando mancano, le emergenze vanno inventate, i dati manipolati, eccetera eccetera). Siccome il timore della sanzione è l’unico ostacolo al dispiegarsi di questa volontà di potenza (nel senso meno buono del termine), rimosso questo (“che le madri sottraggano impunemente i figli ai padri, che gli uomini siano condannati sulla base delle sole dichiarazioni delle donne!”), la strada per il dominio è sgombra da ogni ostacolo. Da questa concezione del «diritto» alla strage di Stato non mancano che più articolate transazioni con la razionalità (da qui la necessità del monopolio rispetto a ogni agenzia di formazione e comunicazione), e le mitologiche frenesie della «razza colpevole» (gli uomini, che sembrano non opporsi in alcun modo a tutto questo).
    Vi è inoltre da osservare (e questa è forse l’unica speranza) che il delirio femminista comporta una sorta di estremismo teoretico per cui nessuno dei suoi esponenti, per furbo o abile che sia, è sicuro di vincere, e ognuno, come in un tragico poker, è potenzialmente esposto di continuo al tradimento altrui: la congregazione non è impenetrabile e indivisibile, e due compagni di bagordi possono mettersi segretamente d’accordo per fare fuori il terzo (vedi gli equilibrismi della Valente rispetto a talune vicende e taluni personaggi che pure fanno parte del suo bacino clientelare).
    Per queste ragioni la biologia femminista (quella proposta dalla Grigliè) è antibiologica; se da un lato le regole del gioco si identificano ancora con il compiacimento delle istanze femminili (gli uomini, secondo l’autrice, per essere all’altezza delle aspettative femminili devono avere una posizione economica e sociale superiore a quella della propria compagna, sovrastarla fisicamente, eccetera), dall’altro confermano la tendenza alla implicita e connessa autodistruzione; l’edonismo e la lotta senza quartiere indotta dal principio primo - elevato a dogma - del piacere illimitato per il femminile ha come scopo la nientificazione dell’esistente. Ed è proprio in questa frenetica scalata al cui vertice vi è una libidine dello sterminio, -nella meccanica di una vandalica rovina prodotta con l’intento di ottenere l’apice del dominio il quale, tuttavia, giungendo al limite di sé, determina l’esplosione della macchina – è impossibile non vedere una richiesta di strage non del tutto dissimile da certe avventure della più recente storia.
    Le femministe replicheranno affermando che il loro fine è la letizia sociale e che le catastrofi a cui si va incontro (precarietà del lavoro, suicidi, disgregazione del tessuto sociale) altro non sono che i contraccolpi di una procedura che fa parte di un processo rivoluzionario dialetticamente inteso («gli uomini non accettano di aver perso i propri privilegi!»); tuttavia, il bagordo e la baldoria non costituiscono un fine politico. Quando poi a essi si annette un fine sanguinario (l’estinzione dei “maschi”, come propugna la Griglié insieme alla psicanalista intervistata), la contraddizione non consente osservazioni ulteriori: il femminismo nei fatti incoraggia una divisione sociale tra una massa da consumarsi al banchetto del dominio neoliberista e il predominio di una ben determinata oligarchia, prefigurando delle catastrofi non lontane e soprattutto non molto diverse da quelle che il genere umano ha patito nella propria storia.

    Edited by Deusfur - 8/3/2022, 13:44
     
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    2) https://www.italiaoggi.it/news/sempre-piu-...-uomini-2526078
    3) https://www.lafionda.com/discriminazioni-i...ito-di-liberta/
    4) https://www.lafionda.com/donne-prive-dellu...anuela-griglie/
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    Ecco un esempio della veste che tutto questo sta assumendo:

    https://www.lafionda.com/parlamento-ue-la-...si-scherza-piu/
     
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    Ed eccone un altro.

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    La Valente e i suoi problemi con democrazia, a conferma di quanto scritto.

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